La mafia del Siracusano che sogna gli anni ’90 Imprese, politica e la reputazione da difendere

«Segnali di riorganizzazione». L’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, relativa al primo semestre del 2017, parlava chiaro: il clan Giuliano stava riprendendo vigore in provincia di Siracusa, e in particolare a Pachino. Forte della storica alleanza con i Cappello di Catania e rinfrancato dalla presenza sul territorio dello storico boss Salvatore Giuliano, scarcerato nel 2013 dopo 21 anni di detenzione per associazione mafiosa. È lui, secondo quanto ricostruito dalla direzione distrettuale di Catania, che avrebbe meditato un’azione eclatante per uccidere Paolo Borrometi, il giornalista che sul quotidiano La Spia denuncia le attività delle mafie nel sud-est della Sicilia. I suoi propositi vengono ricostruiti dalle parole di Giuseppe Vizziniarrestato ieri dalla polizia di Pachino. «Se sballa – dice Vizzini riferendosi a Giuliano – che deve succedere, picciotti! Succederà l’inferno, scendono cinque sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna, la sera appena si fanno trovare, escono… dobbiamo colpire a quello! Bum, a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra! Come c’era negli anni 90, in cui non si poteva camminare neanche a piedi». Vizzini, ripercorrendo ancora le parole riferitegli da Giuliano, aggiunge: «Mi disse: ogni tanto un murticeddu vedi che serve! Per dare una calmata a tutti!». 

Salvatore Giuliano è stato un punto di riferimento della mafia siracusana, al punto di dare il suo nome al clan. È stato condannato a 21 anni per aver monopolizzato il mercato degli stupefacenti e quello delle estorsioni sul territorio di Pachino, e in particolare nel mercato ittico di Portopalo. Nello scacchiere della criminalità organizzata locale, Giuliano rappresenta una delle estensioni dei Cappello di Catania nel Siracusano, alla pari del clan Bottaro-Attanasio a Siracusa città. «Siamo tutti una cosa», ricordava Massimiliano Salvo, ritenuto il numero uno della famiglia nel capoluogo etneo. Dall’altra parte della barricata c’è l’asse legato ai Santapaola, nel Siracusano rappresentato dalle famiglie Nardo, Aparo e Trigila. 

Da quando è stato scarcerato, nel maggio del 2013, Giuliano è già finito in un’indagine per concussione e spaccio di droga, in un’inchiesta in cui sono coinvolti anche l’ex sindaco Paolo Bonaiuto e due consiglieri attualmente in carica. Ma i suoi interessi toccano anche l’imprenditoria e la politica, al punto che il prefetto di Siracusa, in una nota diretta alla Commissione nazionale antimafia in merito alle elezioni amministrative del 2014, parla del «tentativo non riuscito da parte di Salvatore Giuliano, personaggio di spicco della criminalità organizzata locale, di fare eleggere un sindaco a lui gradito». Restano invece saldi i legami con il consigliere comunale Salvatore Spataro.

L’anima imprenditoriale di Giuliano si riversa invece nella produzione e nella commercializzazione del pomodorino di Pachino. In particolare nella cooperativa La Fenice, fino a un paio di mesi fa facente parte del Consorzio di tutela del pomodoro di Pachino Igp, l’ente che mette il marchio di qualità al prodotto conosciuto in tutto il mondo. A febbraio la ditta in cui lavora Giuliano è stata espulsa dal consorzio: una delle ultime decisioni prese dall’ex presidente Sebastiano Fortunato, che venti giorni dopo si è visto incendiare la sua azienda. Le indagini sono in corso e Giuliano, sentito da MeridioNewsha rispedito al mittente i sospetti su di lui. 

Salvatore Giuliano in realtà risulta un semplice operaio de La Fenice. A vestire i panni di titolare è il figlio Gabriele Giuliano, insieme a un altro giovane, il 29enne Simone Vizzini. Quest’ultimo, insieme al padre Giuseppe e al fratello più piccolo Andrea, sono stati arrestati ieri, accusati di aver fatto esplodere, nel dicembre scorso, una bomba carta nella macchina dell’avvocata Adriana Quattropani. La professionista aveva avuto l’incarico di restituire al legittimo proprietario un distributore di benzina di Pachino gestito proprio dai Vizzini, ma con una società fallita. Un’onta alla reputazione della famiglia, al pari degli articoli di Borrometi, da vendicare con la violenza. Il furgone bianco con cui Simone Vizzini avrebbe raggiunto la pompa di benzina per posizionare l’ordigno, è stato trovato proprio nella sede della coop La Fenice e risulta intestato al padre Giuseppe Vizzini, assolto negli anni ’90 in un processo in cui era accusato di associazione mafiosa e successivamente non toccato da altre indagini. Secondo gli inquirenti c’è un legame saldo tra la famiglia Vizzini e il boss Salvatore Giuliano. Lo dimostra non solo il fatto di essere soci de La Fenice, ma anche l’assidua frequentazione di cui si trovano numerose tracce – nei controlli delle forze dell’ordine e nelle foto pubblicate dai diretti interessati – negli anni successivi alla scarcerazione di Giuliano. 

È in questo contesto che Vizzini e Giuliano auspicano la morte del giornalista scomodo e sognano un ritorno agli anni ’90. «Siamo molto lontani da quel periodo fortunatamente  – racconta Paolo Caligiore, coordinatore dell’associazione antiracket a Siracusa e provincia, vittima quasi 30 anni fa di diversi attentati intimidatori – allora mettevano bombe vere, non bombe carta, a Palazzolo Acreide furono otto in quattro mesi e nel 1991 l’allora capomafia poteva affermare che tutti pagavano il pizzo. La forza della mafia si imponeva così e nessuno reagiva. Oggi non è più così». Caligiore fa riferimento alla reazione della città di Siracusa di fronte all’escalation di incendi e bombe carta contro esercizi commerciali. O ancora alle risposte dopo l’incendio all’azienda agricola dei Fortunato, a Pachino, dove giovedì è prevista anche una passeggiata per la legalità

«I tempi sono cambiati – continua – prima la mafia a Siracusa colpiva alcuni per educare tutti, oggi la gente si ribella. Come successo a Pachino dopo l’incendio ai Fortunato, quell’azienda riaprirà, ci stiamo provando, grazie ai fondi per le vittime dell’usura. Pizzo e spaccio restano, ma recenti indagini hanno dimostrato che clan storicamente rivali sono costretti a mettersi d’accordo, sono tempi tristi anche per loro. Le forze dell’ordine li beccano, e anche a Pachino i risultati si vedono e continueranno ad arrivare».

Salvo Catalano

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