Appena prima che iniziasse l’invasione russa dell’Ucraina, Papa Francesco ha osservato quanto sia triste che «persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra!». Non vi è dubbio che sia così. Fare dell’altro un nemico è comunque segno di umana cecità, tanto maggiore per il cristiano che ama (deve amare) l’altro come se stesso. La sofferenza inferta ad altri uomini o addirittura la loro uccisione, infatti, è allora ad un tempo metafisica sofferenza e morte dell’aggressore, abiura della propria vocazione esistenziale d’umanità. Quale sofferenza sia più grave agli occhi del mondo e quale dinnanzi alla giustizia di Dio non è mistero per un cristiano.
Di fronte alla guerra, qualunque guerra, la ragione sembra arrendersi all’irragionevole e deporre le proprie armi, peraltro a suo modo sollecitata dall’emblematica frase di Terenzio: «Sono uomo e nulla mi è estraneo di ciò che è umano». Eppure, ciononostante essa non cessa di essere se stessa e continua a sollecitare domande: cosa mai conduce un uomo a guardare l’altro uomo e vedere in lui un nemico? Esiste forse un bene che non sia comune ma che anzi rende necessaria la sopraffazione del bene altrui, fosse anche del ben-essere o della vita stessa? La crisi interroga profondamente l’Europa, la sua identità, il suo futuro.
Basti qui in via di estrema sintesi ricordare che essa richiede di tornare a riflettere sulla incompiutezza del disegno di Unione politica e ritrovare l’indole visionaria di quel progetto e la piena autocomprensione dell’identità storica, antropologica, culturale, oltre che giuridica, di Europa; impone di rimettere in discussione il sistema Dublino, essendo urgente, proprio per Stati come la Polonia e l’Ungheria, accantonare definitivamente le ipocrisie messe in campo dai medesimi sulla questione dei flussi migratori a fronte dell’imminente sopraggiungere di centinaia di migliaia di profughi ucraini alle loro frontiere; infine, ma non per ultimo, date le conseguenze che essa determinerà sulle economie europee, la crisi mette in discussione la mancanza di Unione nel settore specifico delle politiche energetiche.
Nel discorso sullo stato dell’Unione di appena cinque anni or sono, il presidente della Commissione europea sottolineava come l’Europa avesse di nuovo i venti a favore e dunque godesse di un’opportunità, che tuttavia non sarebbe rimasta aperta per sempre. Invitava di conseguenza a sfruttare al massimo quello slancio e catturare il vento nelle nostre vele con l’obiettivo sia di mantenere la rotta fissata, sia di fissare la rotta per il futuro.
Ѐ incontestabile che il vento sia cambiato da allora: ce lo ha reso emblematicamente manifesto anzitutto la Brexit, che non ha certo giovato a rafforzare l’Unione di fronte al mondo. E tuttavia la conclusione di quel discorso, con la citazione di Mark Twain ivi effettuata, merita di essere comunque richiamata: tra qualche anno non saremo delusi delle cose che abbiamo fatto ma di quelle che non abbiamo fatto. Ecco, proprio in questo drammatico momento di crisi umanitaria occorre manifestare la solidarietà, il rispetto dei diritti umani, la capacità di promuovere la pace e generare futuro che caratterizzano l’identità dell’Europa. Ce lo chiede la Storia e noi europei saremo pronti alla sfida.
Santino Scirè, presidente fondazione Achille Grandi
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