Diventato celebre per aver gridato a Berlusconi Fatti processare, buffone Piero Ricca, insieme al suo gruppo Qui Milano Libera, è accusato di aver fomentato il clima dodio che ha portato allaggressione al Premier dello scorso 13 dicembre in piazza Duomo a Milano. Step1 lo ha intervistato
La guerra di Piero
Ho incontrato per la prima volta Piero Ricca, lo scorso settembre in piazza Cordusio a Milano. Per me uno sconosciuto, era attorniato da un centinaio di persone che assistevano ad un incontro pubblico per chiedere verità e giustizia sulle stragi politico-mafiose del biennio 1992-1993 organizzato dall’associazione Qui Milano Libera, che lo ha visto tra i fondatori nel 2007.
Incuriosito, indago un po’ sull’associazione e capisco subito con chi ho avuto a che fare quel pomeriggio di settembre: quel giovane dal tono di voce imperioso e dalla barba un po’ incolta era colui che il 5 maggio 2003 osò pronunciare nei confronti del premier Berlusconi la fatidica frase «Fatti processare buffone! Rispetta la legge, rispetta la Costituzione!…» al termine di un’udienza per il processo Sme (querelato dal Presidente del Consiglio, è stato assolto con sentenza definitiva perché «l’espressione non va condannata in quanto si tratta solo di una “forte critica”», ndr).
Tra i sostenitori di un impegno civico volto al rispetto della Costituzione e del principio della libertà di critica, Ricca si è trovato pure coinvolto insieme agli amici di QML, nel contesto dell’aggressione nei confronti del Presidente del Consiglio in piazza Duomo il 13 dicembre scorso.
Ricca, la maggioranza di Governo accusa gruppi come il vostro di essere tra i mandanti morali dell’aggressione di Tartaglia a Berlusconi in Piazza Duomo. Come risponde?
«L’unica verità che c’è in queste accuse sta nella conferma da parte del gruppo di potere berlusconiano di usare come metodo politico la criminalizzazione del dissenso. Hanno strumentalizzato il gesto isolato di uno squilibrato per tentare di indurre al silenzio le voci scomode dell’opposizione politica, del giornalismo e dei movimenti di opinione, bollandole con l’accusa di essere i mandanti morali o i fomentatori del clima d’odio, in nome di un’assurda equazione “critica=violenza”. Tutto ciò è illogico e ingiusto e va respinto con fermezza. In una democrazia, l’opposizione ha tutto il diritto di far sentire la sua voce anche in modo aspro, netto e risoluto. A maggior ragione nel caso attuale dell’Italia, di fronte a spudorati abusi di potere».
E’ pur vero che il clima politico è incandescente. Nessuna responsabilità da parte vostra?
«Se uno conoscesse quello che diciamo e che facciamo, la risposta potrebbe darsela tranquillamente da sé. Con gli amici del gruppo Qui Milano Libera e tanti altri attivisti all’opposizione del Governo Berlusconi, esprimiamo il nostro dissenso informato, sempre in modo pacifico e sereno, rispetto ad esempio alle leggi su misura, alla mistificazione mediatica, all’affarismo imperante, all’impunità del potere. Pensare che questo possa creare un clima d’odio e di fanatismo armando le mani dei pazzi o dei terroristi è il risultato di una manipolazione assurda che serve soltanto a gettare fango nei confronti degli uomini liberi e delle voci dell’opposizione che non si fanno intimidire. Questa è l’unica finalità di tale operazione. Peraltro, aggiungo, le nostre credenziali di non violenza non dobbiamo certo presentarle a secessionisti, xenofobi, razzisti, frequentatori di mafiosi, post fascisti: cioé a protagonisti e comprimari dell’attuale maggioranza parlamentare. Semmai è vero il contrario».
Non trova provocatorie le parole di Travaglio relative alla liceità dell’odio verso un uomo politico?
«Assolutamente no. Bisognerebbe smetterla con l’uso disinvolto delle parole. Questo ritorno continuo della parola “provocazione” mi fa domandare se esista o meno la libertà di opinione. Travaglio, che si sa difendere bene da solo, in un clima particolarmente torbido ha avuto il coraggio di esprimere una sua opinione che poteva essere strumentalizzata facilmente. I sentimenti appartengono al mondo privato degli affetti. La politica deve starne fuori, lasciando libero ognuno di odiare o amare chi vuole. L’importante che il giornalismo, l’attivismo e l’opposizione politica rispettino le norme della convivenza civile e del codice penale. Tanto più se si vanno a guardare gli archivi degli ultimi 15 anni di storia, ci si può accorgere facilmente che coloro i quali lamentano oggi di essere vittime del clima d’odio in realtà l’hanno alimentato. Non soltanto con comportamenti odiosi ma anche indicando i “nemici” da abbattere e screditare: magistrati, giornalisti, oppositori scomodi, intellettuali, tutti anti-italiani, farabutti, comunisti, invidiosi, demonizzatori, ecc. Viviamo ancora una volta questo paradosso: i lupi si trasformano in agnelli, gli aggressori fanno le vittime, all’insegna del motto napoletano “chiagni e fotti”. Umberto Eco la chiama “retorica della prevaricazione”».
Ha ragione Berlusconi a lamentarsi delle continue critiche che gli piovono addosso e dei processi mediatici di determinati programmi della RAI e dei contrasti con il Presidente del CdA di viale Mazzini?
«Gran parte dell’informazione RAI è al servizio del Governo. Il caso più evidente è il TG1 di Minzolini, uno dei peggiori telegiornali di sempre. Ormai sono nel bunker e utilizzano la comunicazione di massa e in particolare la televisione come cosa loro per manipolare, confondere, criminalizzare gli avversari. Stanno piazzando i propri uomini dappertutto. Fra poco Belpietro avrà il suo spazio in prima serata. Vespa va avanti col pilota automatico. Il Tg2 pure. Ma non basta mai: vogliono appiattire tutto, e dunque si accaniscono nei confronti di qualche programma, di qualche autore o di qualche presenza giornalistica che ancora ci dà una parvenza di indipendenza di giudizio e di serietà professionale».
Se dopo il No B-Day e le altre manifestazioni contro l’attuale governo nulla è cambiato, forse c’è qualcosa da correggere nelle azioni di protesta?
«Le manifestazioni sono assolutamente necessarie perché quantomeno dimostrano che ancora c’è una parte dell’Italia non assuefatta che ha voglia di lottare, che esprime un pensiero critico e poi, in certi momenti, servono a evitare che le cose peggiorino. Ma non sono sufficienti e mai lo saranno. In questo decennio abbiamo visto e in parte attivamente partecipato a manifestazioni di piazza straordinarie: contro la guerra in Iraq, i girotondi da milioni di persone, le manifestazioni in difesa dell’articolo 18 e il mondo del lavoro, il V-day, il No B-day, etc. Quindi, una parte d’Italia ha saputo reagire nonostante tutto. Ma ciò non è sufficiente se questa mobilitazione non si trasforma in un’alternativa politica capace di proporsi come alternativa di governo. Perché è nella logica delle cose che la mobilitazione non può essere perenne e che il movimentismo non ha continuità senza organizzazione. Ecco perché tra i tanti elementi del disastro c’è l’assenza di una forte opposizione intransigente e alternativa. Gli oppositori degli ultimi 15 anni si sono rivelati i migliori alleati di Berlusconi».
Non sarebbe forse più utile proporre soluzioni o alternative anziché protestare contro lo stato delle cose?
«La critica è preliminare e non alternativa alla proposta. Dentro i movimenti in giro per l’Italia ci sono tanti laboratori di persone serie che propongono soluzioni alternative in tutti i campi. E spesso gli elementi positivi mancano di canali istituzionali e politici adeguati. Ma c’è un campo di lotta preliminare che è quello dell’agibilità democratica di questo paese. Se prima non si tocca questo aspetto legato alla concentrazione del potere, al conflitti di interessi, all’informazione, a un recupero complessivo di legalità e di rispetto della Costituzione, non si potranno avere gli strumenti per creare una nuova politica».
Ma allora non cambierà proprio nulla fino a quando ci sarà Berlusconi al centro dello scenario politico italiano?
«Proprio così. Dobbiamo stare attenti ai colpi di coda. Non hanno scrupoli e sono capaci di tutto per mantenere il potere. Ma quel che è più grave è il rischio che permanga quella modalità di gestione del potere anche dopo. Occorre affermare una nuova cultura politica e civile».
Concludiamo con l’attualità. L’intitolazione di una via a Bettino Craxi a Milano ha creato molte polemiche. Ma non si può salvare qualcosa di questo personaggio politico?
«I giudizi sui leader politici li faranno gli storici. Ci vuole tempo, serenità e distacco. Qui invece si vuole riscrivere la storia recente attraverso un’azione di riabilitazione sui media e nelle istituzioni con l’intitolazione di vie, la realizzazione di statue, attraverso i convegni in pompa magna, gli speciali tv e l’ossequio delle alte cariche dello Stato. Si vuole portare a compimento un lavoro di riprogrammazione mediatica della memoria collettiva che riabilita i corrotti e criminalizza magistrati e giornalisti in prima linea contro la mafia e la corruzione. Si vuole riabilitare il sistema della corruzione, per il presente e per il futuro: ecco il punto. L’onore a un corrotto del passato serve ai vivi; serve a svuotare di ogni senso le indagini e i processi contro gli attuali protagonisti del malaffare. E rappresenta, non solo il suggello di un quindicennio di leggi su misura, ma anche un pessimo esempio per i cittadini, un’offesa al senso di giustizia. Che cosa ci dirà quella targa sulla pubblica piazza? Che la legge vale solo per i poveri diavoli. Che la corruzione paga e merita onore. Che l’esercizio di una funzione pubblica garantisce il privilegio. Chi si sentirà incoraggiato a rispettare le regole e ad adempiere alle proprie responsabilità con rigore? Altri italiani meritano pubblici onori. Ma un dato consolante c’è: secondo un recente sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera, la maggioranza delle persone che hanno risposto si dichiara contrario a “Via Craxi”. C’è ancora molto lavoro da fare per i revisionisti».