La grande caccia al ‘tesoro’ di don Vito

Per la prima volta nella sua vita il professore Gianni Lapis è finito in galera. Un’onta, per lui, figlio di un alto ufficiale della Guardia di Finanza. Un epilogo che, ovviamente, non deve essergli molto piaciuto se è vero, a quanto si sussurra, che lui, a Roma, era andato non per concludere quella maledetta operazione di riciclaggio, ma per mandare tutto all’aria. Eppure, certe volte, lo insegna Pirandello, la vita si diverte a tormentare gli uomini con i paradossi, non presentandoci mai il conto per quello che abbiamo fatto e facendoci pagare, invece, per ciò che non abbiamo fatto. Una beffa.
E dire che Lapis, avvocato, docente universitario di materie economiche e tributarie, è sempre stato un professionista attento e riservato. Sin da quando, poco più di quarant’anni fa, conosce un certo Vito Ciancimino, del quale diventerà un consulente, come dire?, per gli affari economici e finanziari. Da allora ad oggi di strada il professore Lapis ne ha fatta tanta, con Ciancimino e senza Ciancimino.
Eh già, perché Lapis, pur essendo stato un professionista a 360 gradi politici, non negando a nessuno le sue consulenze strategiche, ha fatto anche attività politica. In un partito, il Psdi, che nella Prima Repubblica, in Sicilia, si identificata con la figura di Carlo Vizzini. Fare politica, per il professore, non ha mai significato, però, mettersi in mezzo, magari in primo piano. Il professore ha sempre preferito restare nell’ombra, mandando avanti gli altri. Conservando, però, un ruolo centrale, sempre accanto a Vizzini.
Definire il ruolo di Lapis in un perimetro ristretto tra le consulenze a Ciancimino e la sua attività nel Psdi, però, significa sminuirlo. Il professore, infatti, è stato e ha fatto molto di più. Se c’è un uomo che, già a partire dalla metà degli anni ‘70 del secolo scorso, ha sempre guardato oltre la Sicilia, oltre l’Italia e oltre l’Europa, ebbene, questo è stato proprio Gianni Lapis. I grandi affari – a parte la Gas spa – Lapis li ha sempre ‘pilotati’ all’estero.
Del resto, se Lapis non avesse avuto il pallino per i grandi investimenti internazionali Vito Ciancimino non sarebbe andato a cercarlo. E lì, nel grande mercato che spazia nell’universo mondo, ancor prima che si affermi la globalizzazione, che Lapis ha dato sempre il meglio di sé. Ed è lì che, con molta probabilità, si trova – nascosto chissà dove e chissà in quanti e in quali investimenti – il ‘famigerato tesoro’ di Vito Ciancimino.
Una caratteristica di Gianni Lapis è quella di essersi trovato, sempre da protagonista, nei grandi giri economici, imprenditoriali e finanziari della Sicilia. Il tutto, senza essere stato mai sfiorato dalle indagini della magistratura. Come già ricordato, cadrà nella rete delle inchieste giudiziarie solo nei primi anni del 2000, vuoi perché la magistratura, anche se tra mille contraddizioni, comincerà a puntare i riflettori sulla Gas spa, vuoi perché Massimo Ciancimino, imprudente per antonomasia, finira per trascinarlo nei pasticci.
Riassunto parziale: consulente di Vito Ciancimino già negli anni ‘70; grande conoscitore dell’economia internazionale (gas, petrolio, oro e via continuando); inventore e titolare, insieme ad altri soggetti, della Gas spa, un gruppo che, a partire dai primi anni ‘80, gestirà fino al 2002 la metanizzazione dei Comuni della Sicilia e della Puglia. Questo è, forse, il più grande – e il più longevo – affare portato avanti in nell’Isola da sessant’anni a questa parte.
Pensate: già a partire dai primi anni ‘80 un fuoco di sbarramento elimina, ad uno ad uno, i più grandi gruppi ecomico- imprenditoriali della Sicilia: cadono, travolti dagli scandali e dalle indagini giudiziarie, i Cavalieri del Lavoro di Catania, da Rendo a Costanzo, da Graci a Parasiliti, da Finocchiaro a Puglisi Cosentino. A Palermo, anche se lentamente, scompare il gruppo Cassina. Ad Agrigento, con la velocità con la quale era venuto alla ribalta, si dissolve il gruppo Impresem di Filippo Salamone. A Caltanissetta, nell’arco di un quindicennio, si consuma l’agonia del gruppo Di Vincenzo. Tra Palermo e Bagheria – e questa è storia di sette otto anni fa – le indagini giudiziarie travolgono il gruppo di Michele Aiello.
Di tutti i grandi gruppi imprenditoriali siciliani a resistere, anzi, a passare indenne da una tempesta politico-giudiziaria durata oltre un decennio è proprio la Gas spa. In questa società, fondata alla fine degli anni ‘70, a Palermo, nella casa di Mondello di Vito Ciancimino, ritroviamo Salvo Lima (sotto mentite spoglie), e due personaggi che, di fatto, gestiranno il gruppo per un ventennio: Ezio Brancato e lo stesso Lapis. Il primo si occuperà dei rapporti con il ‘territorio’, il secondo gestirà i rapporti ad alto livello con la politica.
Già, i politici. Che non sono solo Lima e Ciancimino, ma tanti altri. Tanti. Alcuni sottoscrivendo, in modo discreto, azioni della Gas spa attarverso altre società (una parte delle azioni della Gas spa erano detenute da altre società). Altri politici limitandosi a chiedere ‘contributi’ seguendo modalità originali. A fine anni ‘80, ad esempio, correva voce che la Gas spa, attraverso le sue società collegate, assumeva mogli e amanti dei politici. Una trovata geniale per riconoscere ‘qualcosa’ al politico di turno nel pieno rispetto della ‘legalità’.
La politica, ma anche la magistatura. Lapis era geniale. La sua ‘regola’ era semplice ma efficace: nessun potere deve restare fuori. Più esteso è il coinvolgimento tra i vari poteri, più estesa è la rete dei ‘partecipanti’, maggiore è la possibilità che nessuno venga a rompere le uova nel paniere. I fatti gli hanno dato ragione. Se non fosse stato per un ‘pizzino’ ritrovato nei primi anni del 2000 dove si parla della Gas spa non sarebbero mai scattate le indagini (che, in ogni caso, sortiscono un effetto parziale e controllato). Se Massimo Ciancimino avesse evitato certe ‘sbrasate’ il professore Lapis non sarebbe finito nei casini.
Il metodo Lapis, dicevamo. Che, in soldoni, è il seguente. In testa la holding, la già citata Gas spa. In ogni Comune dove si vince la gara va costituita una società ad hoc controllata dalla stessa holding. In queste società satelliti possono essere chiamati a prestare la loro consulenza magistrati in pensione. Se insorgono controversie – a Dio solo sa quanti ricorsi e quante citazioni relative ai lavori pubblici invadono il Tar (Tribunale amministrativo regionale) – si ricorre agli arbitrati (altri magistrati ai quali chiedere la loro scienza).
Del territorio – cioè dei rapporti con le ditte locali – si occupa Ezio Brancato. E lì, ‘purtroppo’, c’è da ‘sporcarsi le mani’. La mafia c’è e ‘sussiste’. Oppure ci mettiamo a dire che negli anni ‘80 e negli anni ‘90, in Sicilia, non c’era mafia? La mafia c’era, eccome se c’era! Ed era ‘ruspante’. Ma nella Gas spa c’era pur sempre Vito Ciancimino, capo riconosciuto dei ‘Corleonesi’, un ‘marchio’ e una garanzia. Con lui si appianava tutto. Certo, qualcosa al ‘territorio’ bisognava riconoscerlo. Dalle testimonianze raccolte dalle parti di Messina (leggetevi l’inchiesta pubblicata da questo giornale qualche settimana fa), viene fuori che la mafia dello Stretto, per ‘rispetto’ verso i ‘capi’ della Gas spa, concedeva alle società di questo gruppo uno sconto sul ‘pizzo’ del 50 per cento.
Interessanti anche i ‘protocolli di legalità’. Già siamo arrivati agli anni ‘90. La sensibilità per l’affermazione della legalità è cresciuta anche in Sicilia. Ma la mafia non è diminuita. Bisogna trovare un accordo tra questi due ‘vettori’, o ‘coppia di forze’, per dirla con la fisica. E cosa ti inventano? I già citati ‘protocolli di legalità’. Che sono? Semplice. Aggiudicata la gara (anche lì, sull’aggiudicazione delle gare per la metanizzazione, si potrebbero scrivere romanzi…), si organizza una bella manifestazione sulla legalità. Tutti insieme, imprenditori e autorità a celebrare la legalità con la firma di protocolli e bla bla bla. Chiacchiere e cucchiteddi ‘i lignu, come si dice in Sicilia. Una settimana dopo, nella fase operativa, i subappalti, camuffati magari da ‘noli a freddo’, vanno ai mafiosi. Da manuale. L’apparenza è salva, la mafia pure. L’ipocrisia trionfa.
Riassunto finale. Lapis è stato arrestato. Dopo oltre 40 anni di attività. Conosce, con molta probabilità, molti dei segreti di Vito Ciancimino. Conosce anche i segreti della Gas spa. E conosce pure – ce ne stavamo quasi dimenticando – come sono andate le cose alla Sicilcassa, sia con riferimento ai fatti bancari, sia con riferimento al fondo pensioni (è stato un protagonista di questa gloriosa banca siciliana ‘immolata’ sull’altare dei voleri massonici della Banca d’Italia).
La prima inchiesta sulla Gas spa è stata condotta, nei primi anni del 2000, dalla Procura di Palermo retta da Piero Grasso. Nei guai sono finiti Lapis e Massimo Ciancimino. Ma non i soci storici di Lapis, ovvero la famiglia Brancato (imparentata con un alto magistrato della Dda, Giustino Sciacchitano).
Da quando Grasso, bontà sua, è volato a Roma a dirigere la Procura nazionale Antimafia, la ‘musica’, a Palermo, è cambiata. E sono accusa sono finite anche le eredi di Ezio Brancato. Uno dei due pubblici ministeri che ha riaperto le indagini sulla Gas spa – Antonio Ingroia – come abbiamo raccontato ieri con dovizia di particolari, ha fatto arrestare Lapis a Roma. Fine della ‘festa’.
Le domande, a questo punto, non mancano: il professore Lapis parlerà? Racconterà tutto quello che sa? Svelerà quali sono stati i suoi rapporti con Vito Ciancimino? Consentirà alla Giustizia italiana di mettere finalmente le mani sul ‘tesoro’ di don Vito? Darà la sua versione sulle controverse vicende della Sicilcassa? Dirà i nomi di tutti i personaggi – politici, ma non soltanto politici – che, per oltre vent’anni, sono stati sul libro paga della Gas spa?

 

 

 

 


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