Non si sa quando né perché, ma questanno lui non cè più. Era lì da sempre, nella scatola dumido e polvere, tra il pescatore, la madonna e la capanna. Nessuno pare essersene accorto, tanto Natale arriva lo stesso
La fuga di San Giuseppe
Quest’anno a San Giuseppe abbiamo detto addio. C’è un vuoto adesso tra il cielo di cellophane e lo stagno di carta stagnola. Una fossa opaca, vasta come il mistero della sua scomparsa.
Fu una mattina che ce n’accorgemmo. Era quasi Natale.
Scendo in cantina e sullo scatolo d’umido e polvere c’è una formica che passa, mi vede e scappa.
Fu un triste presagio di una fuga annunciata.
Prendo lo scatolo e giù, per un angolo, lo porto in mezzo al salone. Poi, ad uno ad uno, fuori: un’anatra, un albero, il fornaio, il pescatore, la staccionata, la capanna, la madonna, il bambino, l’angelo, l’asino e il bue.
Ho il giorno davanti per il mio lavoro. Ma faccio l’appello e mi accorgo che lui non c’è. Non ritorna.
E’ scappato, è fuggito, con l’aiuto di un angelo pietoso o di un angelo caduto.
San Giuseppe se n’è andato col bastone e la lanterna e ha preso la strada della libertà, dove ognuno non è niente per nessuno e non ci sono secondi e primi, né apparenze da salvare.
Deve avere avvertito improvvisamente il peso della sua strumentale presenza. Anche per lui il treno ha fischiato. E se n’è andato.
Intanto io ho fatto finta e non ho detto niente. Nessuno pare essersene accorto. Il nonno già dorme sul divano. Il fuoco ha legna da ardere e la musica va. Ognuno guarda il suo regalo.
Ci sono tre padri e tre madri. I padri escono e le madri piangono. I figli parlano con Dio.
E forse San Giuseppe tornerà, magari vestito da pastore, per vedere da lontano quella bella ragazza e quel bambino che ancora una volta nasce. Senza lui.