La discarica abusiva di inerti nel sito tutelato dall’Ue. Indagine coinvolge imprenditori vicini a Cosa nostra

«Tu devi scaricare dentro gli alberi, vai in retromarcia e scarichi dove abbiamo scaricato sempre». La scelta dell’avverbio da parte di Daniele Mancuso, imprenditore messinese finito ieri ai domiciliari con l’accusa di essere stato promotore di un’associazione a delinquere dedita alla commissione di reati ambientali connessi allo smaltimento illecito di scarti edili, non è casuale. Dalle carte dell’inchiesta Montagna fantasma, coordinata dalla Dda di Messina, emerge come Mancuso, 56 anni, avesse in contrada San Corrado Gravitelli, un punto di riferimento per l’abbancamento dei materiali da scavo prodotti nei tanti cantieri cittadini che si rivolgevano alla sua impresa di movimento terra. Un’attività che la guardia di finanza ha appurato essere totalmente abusiva e che ha danneggiato l’ambiente in un’area che, paradossalmente, sarebbe tutelata dall’Unione europea. I terreni di Gravitelli, infatti, fanno parte di un sito d’interesse comunitario e di una zona di protezione speciale, per l’importanza loro riconosciuta nella conservazione degli habitat.

A dispetto dei vincoli esistenti solo sulla carta, Mancuso sarebbe andato avanti come se niente fosse. L’indagine, che ieri ha portato all’emissione di misure cautelari anche per i figli Giuseppe e Andrea, entrambi ai domiciliari così come diversi operai al servizio dell’imprenditore, arriva a tre anni dal sequestro della discarica abusiva da parte della guardia di finanza. Per risalire, però, all’inizio dell’attività illecita bisogna andare molto indietro nel tempo: a metà anni Duemila, Mancuso fu beccato dai militari a operare a Gravitelli, risultando sprovvisto di autorizzazione per la gestione dei rifiuti. L’uomo si trovava in terreni di proprietà altrui, ma di cui negli anni ha rivendicato anche l’usucapione in tribunale. Sul fronte penale, Mancuso è stato già processato per reati ambientali, venendo anche condannato in primo grado nel 2008. La vicenda, tuttavia, si fermò in appello con la corte che dispose la prescrizione. Il passaggio in tribunale, comunque, non avrebbe fatto desistere il 56enne: stando agli atti dell’indagine l’area adibita a discarica sarebbe passata dai 2400 metri quadrati del 2008 ai quasi 39mila del 2019, quando è arrivato l’ultimo sequestro.

Quello di Mancuso è un nome che compare anche in un altro tipo di carte giudiziarie. A citarlo tra 2017 e 2018 è stato infatti Biagio Grasso, il geometra divenuto collaboratore di giustizia che con le sue dichiarazioni ha dato il la alle inchieste che hanno portato allo svelamento degli interessi criminali della famiglia etnea di Cosa nostra, Santapaola-Ercolano, nel Messinese. Grasso ha indicato in Mancuso un imprenditore orbitante nell’area d’influenza di Enzo Romeo, il nipote del boss Nitto Santapaola, già condannato in abbreviato nel processo Beta.

L’inchiesta Montagna Fantasma inquadra soltanto i reati ambientali. A beneficiarne sarebbero stati diversi imprenditori che, godendo di prezzi di favore derivanti dalla possibilità di smaltire i materiali da scavo illecitamente, si sarebbero rivolti a Mancuso. «L’accordo che avevamo (era) senza formulari, no con i formulari, perché sopra i formulari gli pago il 20 per cento», è la frase che Mancuso pronuncia parlando con Giacomo Mangraviti. L’uomo, meglio conosciuto come Claudio, si lamentava dell’importo della fattura ricevuta, in cui il costo dello smaltimento era passato da 60 a 80 euro al metro cubo. L’aumento era seguito alla notizia della convocazione degli imprenditori committenti da parte della finanza. I militari avevano chiesto la documentazione riguardante i conferimenti dei rifiuti in discarica. Formulari che Mancuso, stando alla ricostruzione degli inquirenti, avrebbe fornito agli imprenditori all’occorrenza, producendo dei falsi.

Mangraviti è solo uno degli imprenditori destinatari del divieto di esercitare l’attività. Una misura interdittiva che, a seconda del caso, il gip ha disposto per tre o sei mesi. Sono parecchi quelli coinvolti nell’indagine. Tra loro c’è Giuseppe Lupò, titolare della Lupo Costruzioni e vicepresidente vicario di Sicindustria Messina. Settantatré anni, Lupò è indagato nell’ambito dello smaltimento di oltre 1500 tonnellate di scarti edili provenienti dal cantiere allestito alla Casa dello studente di via Cesare Beccaria. A essere coinvolto è anche Vincenzo Vinciullo: all’81enne – indagato insieme al nipote Filippo – viene contestata, nelle vesti di legale rappresentante della Edil Faro, la gestione dei rifiuti edili prodotti nel corso dei lavori in un cantiere di via Pacinotti.

Anche Vinciullo compare nei verbali di Biagio Grasso. Il collaboratore di giustizia individua in lui una delle figure avvicinate da Enzo Romeo per proporre affari nell’interesse di Cosa nostra. Ma l’imprenditore è stato anche tra gli indagati dell’ultimo procedimento aperto per il duplice omicidio Vecchio-Rovetta, il dirigente e il manager dell’Acciaieria Megara, uccisi a fine ottobre del 1990 da un commando armato nella zona industriale di Catania. All’epoca Vinciullo era rappresentante per la Megara e il suo nome finì anche in uno dei pizzini di Bernardo Provenzano. «Successivamente si accerterà avere rapporti con Cosa nostra messinese e in particolare con Santo Sfameni e Michelangelo Alfano», si legge nelle carte dell’indagine condotte dai magistrati della Dda etnea, che tuttavia nei mesi scorsi sia per Vinciullo che per gli altri sette indagati hanno chiesto l’archiviazione.

(Foto: Fly&I – Unsplash)


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