Piaccia o meno, la Democrazia cristiana è tornata. Certo, si potrebbe a lungo discutere su quale Democrazia cristiana, su chi ha titolarità del simbolo, chi del nome, chi dei cimeli di famiglia, ma allo stato dell’arte il partito di Totò Cuffaro – senza simbolo e senza cimeli di famiglia e pure con qualche recriminazioni sul nome – è presente nella giunta regionale, nei governi delle più importanti città della Sicilia e ha pure riunito un migliaio di persone sotto lo stesso tetto a Palermo per il suo Congresso regionale, dove sono state ufficializzate le nomine di segretari e presidenti.
«Un miracolo» a sentire lo stesso Cuffaro, osannato dai suoi, e ci mancherebbe altro, che dice di essersi rivolto direttamente al caro estinto don Luigi Sturzo per avere questa particolare grazia. «Mi sono rivolto a lui perché facesse un favore a me e a se stesso: se vuole fare il santo deve fare il miracolo». Il leader democristiano ha poi spiegato il segreto del suo successo, quello di avere ridato fiducia a gente che nella politica la fiducia l’aveva persa, definendo il suo movimento «l’alternativa a moderata a sovranismo e populismi». Cuffaro tra l’altro applauditissimo non solo dalla sua nutrita platea, ma anche dai suoi alleati politici presenti nelle prime file. Tra cui ovviamente anche rappresentanti di partiti notoriamente populisti e sovranisti.
E poi c’era il presidente, Renato Schifani, seduto accanto al festeggiato, con cui più volte parla fitto. Schifani che pure per un momento ruba la scena a Cuffaro, quando dal pulpito lancia la bomba: «Lavoro benissimo con i miei assessori, sono entusiasta della loro attività. Ma che se c’è qualche partito della coalizione che ritenga che un assessore non sia più rappresentativo allora si procede. Mai innamorarsi di un assessore, queste sono le regole». Parole che a primo ascolto potrebbero sembrare la citazione di un qualche film romantico, alla Ufficiale gentiluomo, ma in realtà sono più una parafrasi del refrain “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”.
Schifani ha anche strigliato in un certo senso i suoi indicando la via: «Dobbiamo lavorare, mai polemizzare. Meno passerelle. Chi mi conosce sa che agisco in questo modo» dice durante la sua passerella al congresso della Dc. Poi parla della riforma delle province, che ancora trova difficoltà a ingranare, anche a causa di Roma, dove non si decidono a eliminare la legge Delrio, criticata dallo stesso presidente della Regione. In compenso tira fuori per l’ennesima volta il paragone con la tragedia di Rigopiano, in Abruzzo, dove «Se ci fossero state le province non sarebbe successo niente».
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