«Lavoro da più di trent’anni con la scultura, è il medium che ho scelto fin da ragazzo, perché da sempre prediligo la forma tridimensionale rispetto alla bidimensionalità della pittura». Giuseppe Agnello, scultore di Racalmuto classe 1962 che vive tra Agrigento e Palermo, dove insegna Scultura e Tecniche della scultura all’Accademia di Belle Arti, racconta la condizione dell’essere umano. E lo fa tramite Paludi, l’esposizione di 15 opere che aprirà al pubblico sabato 22 giugno, alle 19, alla Fondazione La Verde La Malfa, a San Giovanni la Punta, dove resterà fino al 10 novembre. Una mostra – a cura di Daniela Fileccia, promossa e ideata dal presidente della Fondazione Alfredo La Malfa e da Dario Cunsolo, con il patrocinio del comune di San Giovanni la Punta e dell’Accademia di Belle Arti di Palermo – che raccoglie le ultime produzioni di sculture e che indica il luogo dove tutto accade, che contiene corpi, paesaggi, natura.
«La poetica e la concezione artistica si sviluppano nel percorso creativo e si modificano – spiega l’artista a MeridioNews -. Recentemente ho realizzato al Parco Archeologico della Valle dei Templi la mostra Dalle dure pietre con calchi di elementi naturali, boccioli e frammenti di natura, mentre in Paludi subentra di nuovo il corpo che avevo tralasciato, realizzato con resine e materiali cementisti». In tutta la produzione dell’artista siciliano, infatti, la natura è la fonte alla quale attingere per la costruzione di forme e concetti, siano essi figure umane o elementi vegetali. «Ho cominciato con la figurazione ma lavoro con tutti gli strumenti che supportano la mia visione e le mie sculture, attraverso cui racconto la realtà. Perché sono molto attento a quello che accade attorno a noi, anche dal punto di vista sociale. E queste paludi, per l’appunto, rappresentano la situazione stagnante in cui ci troviamo, legata a valori interiori dell’umanità che abbiamo perso, come la compassione. Non riusciamo più a commuoverci di nulla, vedere un uomo che muore in mare non ci sconvolge più, abbiamo perso gran parte del valore che abbiamo sempre dato all’umanità».
Se in passato il lavoro di Giuseppe Agnello evocava il movimento, Paludi segna invece la fossilizzazione di un’umanità in un continuo stato di immobilità e di fragilità materiale e psicologica. Da una parte le paludi raccontano di un’umanità stagnante e indolente, talmente priva di energia vitale da essere assorbita dalla vegetazione e dal fango, dall’altra volgono uno sguardo fiducioso verso il futuro, in cui la decomposizione e il silenzio possono indicare un passaggio necessario al cambiamento. «Paludi segna la fine di un’umanità che ha iniziato il suo sviluppo con le migrazioni e l’evoluzione e si trova oggi in stato di inerzia e di debolezza fisica e psichica. Un’umanità che appare immersa nelle sabbie mobili, muta e acquiescente». E che appare immutabile. «Mi sono formato in Sicilia, poi ho vissuto un po’ di anni a Carrara, prima di rientrare in questa terra con cui ho, un po’ come tutti, un rapporto di amore e odio. Quando andiamo via ci manca, quando siamo qua notiamo tutte le disfunzioni sociali e le cose che non vanno. E quello che da ragazzo e da giovane pensavo che potesse in qualche modo cambiare, è rimasto invece uguale. Non cambia niente, la sostanza rimane invariata».
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