La Catania degli anni 80 sul Giornale del Sud Scatti e storie per ricordare Pippo Fava

«Il Giornale del Sud andava molto per immagini. Raccontavamo gli omicidi anche attraverso la gente che c’era intorno». Così Giovanni Caruso, fotografo e membro fondatore del GAPA, riassume il senso della mostra Giornale del Sud, Immagini del nostro Novecento, da lui curata insieme al collega Aldo Ciulla e visitabile dal 4 al 6 gennaio. L’allestimento, organizzato in occasione del 27° anniversario dell’uccisione per mano mafiosa di Pippo Fava, ricorda il giornalista palazzolese nel periodo in cui era a capo della redazione del Giornale del Sud. Meno di un anno – da ottobre ’80 a giugno ’81 -, novanta scatti per raccontare Catania negli anni dei morti ammazzati, dal punto di vista di chi faceva giornalismo da strada, grazie alla guida del «direttore» e del suo modo «diverso e vero» di fare informazione, anche attraverso la fotografia.

Scelti tra oltre 500 scatti «recuperati 30 anni fa, poco dopo il licenziamento di Fava quale direttore del Giornale del Sud e prima che la proprietà mandasse via anche me» racconta Caruso, le 90 fotografie in mostra nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di via Siena n° 1, ripercorrono tutto quello che il quotidiano pubblicava all’inizio degli anni ’80. Le immagini crude della cronaca nera, gli omicidi di mafia, le storie torbide, ma non solo. «Raccontavamo anche spettacolo, politica e cultura – ricorda l’ex fotografo del GdS – concedendo molto spazio anche ai reportage all’interno dei quartieri e alle inchieste sui mali della città, che costarono le prime censure al direttore». «Foto – continua – che accompagnavano articoli pungenti che rompevano un giornalismo di favore praticato fino a quel momento su La Sicilia, l’unico giornale della città».

La ricerca di «giustizia e libertà attraverso la verità» all’interno del Giornale del Sud durò solo fino al 1982, anno in cui Giuseppe Fava fu destituito dalla direzione del quotidiano. Troppi i temi scomodi trattati che andavano contro gli interessi dei proprietari della testata – tra cui gli imprenditori Salvatore Lo Turco, Gaetano Graci, Giuseppe Aleppo, Salvatore Costa -, come la denuncia delle attività illecite di Cosa Nostra, del traffico di droga, la presa di posizione a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito e quella contro l’istallazione di una base missilistica a Comiso, poi effettivamente realizzata. La volontà di censura degli editori fu particolarmete pesante, fino ad arrivare al sequestro prima della stampa di un pagina che denunciava alcune attività di Ferlito. Di lì a poco Fava venne licenziato. I giovani giornalisti occuparono la redazione, ma la protesta non portò a nulla e nell’82 la testata fu chiusa per volere degli editori.

«La mostra è nata da un’idea lanciata lo scorso 5 gennaio da Riccardo Orioles. Così decidemmo di scansionare tutte le foto che avevo salvato, e che nel 2003 avevamo sviluppato e catalogato, e di sottoporle a restauro digitale». Un altro modo di ricordare la figura di Pippo Fava, le storie e la vita di redazione. «La nera si chiudeva sempre tardissimo perché in quegli anni di guerra di notte si ammazzava molto. Non avevamo orari» racconta Caruso. Anni in cui fare fotografia «era interessante per il contatto con la società degradata dell’epoca, anche dal punto di vista antropologico». Ma non senza difficoltà: «Era molto dura. Ti dovevi confrontare con i parenti dei morti ammazzati e dovevi saper scegliere il momento in cui non scattare nessuna fotografia, per rispettare il loro dolore».

Una realtà dura, spesso cruda, ma anche molto gratificante. «La parte più divertente era lo spettacolo. Ai concerti, ad esempio, si dedicavano veri e propri reportage – ricorda Caruso -. Così ho visto i più bei concerti della mia vita. E poi molto teatro». Uno spazio particolare è dedicato alle inchieste sociali grazie alle quali «molto spesso ci ritrovavamo ad aiutare la gente. Ricordo quando trattammo la storia di una donna che abitava in via Palermo – ripercorre il fotografo – abbandonata dal marito. Viveva in condizioni disumane, in una casa in cui era crollato il tetto e i suoi bambini portavano addosso i segni dei morsi dei topi. Tutto partì da un fatto di cronaca – continua -: suo figlio era stato autore di un furto, ma arrivati sul posto ci accorgemmo che c’era ben altro da far emergere. Fu un reportage che ci toccò molto per il contesto sociale. In quel caso mettemmo da parte la nera e ci dedicammo alla denuncia del degrado dei quartieri popolari».

La direzione di Pippo Fava lasciò il segno tra i giovani redattori che facevano parte del Giornale del Sud e che poi lo seguirono nell’avventura de I Siciliani. Stesso discorso per i fotografi, tra cui Caruso, che all’epoca erano parte integrante della squadra redazionale. «Eravamo giovani e animati dalla passione – spiega – e non ci importava di essere pagati. Per noi contava quel progetto di giornalismo di strada che attraverso le foto potesse raccontare la verità. Quando ammazzarono il direttore – continua – decisi che non avrei più venduto una fotografia e, dopo aver fondato il GAPA nell’88, mi dedicai solo alla fotografia sociale». E proprio al direttore, Caruso dedica un ricordo speciale, ringraziandolo per i suoi insegnamenti: «se ci avvicinammo ai quartieri, se abbiamo capito che cos’era realmente l’antimafia sociale dal basso è merito della formazione che ci ha dato Giuseppe Fava in quegli anni».

[Foto di Giovanni Caruso, tratta dalla mostra “Giornale del Sud” Immagini del nostro novecento]


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