La ‘caduta’ di Berlusconi e la Sicilia

Dopo lunghi mesi di logoramento politico, Silvio Berlusconi ha annunciato le proprie dimissioni da capo del governo. Sono tanti gli osservatori che, in quest’atto, vedono la chiusura di un ciclo. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: i ‘giochi’ che si aprono con le dimissioni del governo.
C’è chi, oltre al tramonto del Cavaliere, ipotizza elezioni a breve (che potrebbero trascinare al voto anche la Sicilia con l’elezione di un nuovo presidente della Regione e di una nuova Assemblea regionale). E chi, invece, intravede una sorta di governo di ‘salute pubblica’. Sono, entrambi, scenari possibili. Ci potrebbe essere, poi, un terzo scenario, magari di medio e lungo periodo: la nascita concreta e il radicamento nella società del Ppe, sigla che sta per Partito popolare italiano.

Qualche mese fa è stato lo stesso Cavaliere a indicare Angelino Alfano come suo ‘erede’. Alfano si è anche dimesso da ministro della Giustizia per diventare coordinatore nazionale del partito. Sembrava un’accelerazione verso il Ppe, che lo stesso Berlusconi, fino ad oggi a parole, considera come l’evoluzione naturale della sua esperienza politica. Poi, però, tutto si è bloccato. Per un semplice motivo: perché il Cavaliere, dopo aver gettato Alfano nell’agone politico, ci ha ripensato e ha deciso di resistere.
Oggi Berlusconi, suo malgrado, deve gettare la spugna. A breve lascerà la guida del governo. Ma non è detto che abbandonerà la scena politica. In ogni caso, il suo passo indietro potrebbe rimettere in moto il ‘cantiere’ per l’apertura concreta del Ppe. Il processo non si annuncia comunque semplice, perché sono in tanti, nel Pdl, a chiedere ‘garanzie’ per il futuro. Ma siccome il Pdl non ha brillato e non ha portato fortuna, è chiaro che l’approdo verso il Ppe è ormai nelle cose (mettendo nel conto anche con qualche defezione). Da capire è solo la strada attraverso la quale ci si arriverà.
In questo scenario tutto si rimette in gioco. A cominciare dal futuro del cosiddetto terzo polo. L’Udc di Pieferdinando Casini, che fino ad oggi ha tessuto, bene o male, una tela con il centrosinistra, senza la presenza ingombrante del Cavaliere, potrebbe tornare a ragionale sul Ppe con un Pdl ormai logorato. Anche Gianfranco Fini, su nuove basi, potrebbe abbandonare l’innaturale collocazione del proprio partito-movimento – Fli – nel centrosinistra per ricollocarsi proprio nel Ppe. Lo stesso dicasi per l’Api di Rutelli. Persino qualche esponente moderato del Pd potrebbe essere tentato dal Partito popolare europeo.
La costituzione del Ppe faciliterebbe le cose anche a sinistra, perché ‘costringerebbe’ il Pd a ad essere un partito di sinistra senza “se” e senza “ma”, puntando senza tentennamenti sull’alleanza con i dipietristi, con il Sel di Vendola e, perché no?, con tutti i movimenti che oggi orbitano nella sinistra, anche un po’ estrema.
L’apertura effettiva del ‘cantiere’ del Ppe avrebbe effetti anche in Sicilia. Dove il terzo polo, come a Roma, potrebbe ‘sciogliersi’, con i dovuti ‘distinguo’, nel futuro Partito popolare europeo. L’Udc di Giampiero D’Alia, che oggi ha qualche problema di collocazione nel centrosinistra (Rita Borsellino ha detto a chiare lettere di non gradire l’alleanza con il terzo polo nella sua corsa a sindaco di Palermo), se il suo partito dovesse ‘chiudere’’ con il Ppe a Roma, farebbe altrettanto in Sicilia. Idem per i finiani.
Nell’Isola qualche problema si porrebbe, invece, per l’Mpa di Raffaele Lombardo e per il Pid (Popolari per l’Italia d domani) oggi capeggiato dal ministro Saverio Romano, dopo l’addio di Calogero Mannino a questa nuova formazione politica. I vertici degli autonomisti di Lombardo non dovrebbero essere molto interessati al Ppe. Se non altro perché l’attuale presidente della Regione ha scommesso sul Pd già a partire dalla primavera del 2008 – data del suo insediamento a Palazzo d’Orléans, sede del governo della Regione – per motivazioni, come dire?, extrapolitiche. Ottenendo risultati importanti (a cominciare da un ‘alleggerimento’ fino ad oggi sostanziale della sua posizione rispetto ai temi legati alla giustizia). Tra l’altro, dopo i continui strappi operati dal suo governo verso il centrodestra (dal quale Lombardo proviene), non è detto che possa risultare semplice un suo eventuale quanto improbabile avvicinamento per il Ppe. E’ molto più probabile, invece, che qualche esponente dell’Mpa (e forse più di “qualche”) abbandoni Lombardo per ricollocarsi tra i Popolari europei.
Non meno semplice il percorso del Pid. Visto da Roma il passaggio di questo partito-movimento nel Ppe sembra scontato. Visto dalla Sicilia tutto cambia. In primo luogo perché l’evoluzione del quadro politico nazionale sta dando ragione a Mannino che, almeno ufficialmente, ha lasciato la propria creatura politica – cioè lo stesso Pid – perché contrario alla partecipazione al governo Berlusconi (che invece si è puntualmente verificata con la nomina di Romano a ministro).
Detto in parole crude, Casini potrebbe imporre a Romano e ai suoi amici siciliani un prezzo ‘salato’ per il loro ingresso nel Ppe. Anche con l’inevitabile ‘taglio’ di qualche testa. Il pallino – se l’evoluzione del quadro politico, a Roma come a Palermo, dovesse orientarsi verso la nascita e il radicamento del Ppe – passerebbe nelle mani di Romano, chiamato a una difficile e complessa verifica delle sue capacità politiche.


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