Di fatto, il presidente del parlamento siciliano, giovanni ardizzone, ha operato cambiamenti radicali. Tagliando indennita' e 'ammennicoli' vari a parlamentari e alti burocrati. Nominando un segretario generale giovane. Dunque puntando tutto sul rinnovamento. Da qui qualche contraccolpo della vecchia guardia
L’ ‘ammutinamento’ dei vecchi dirigenti dell’Ars che non vorrebbero andare in pensione…
DI FATTO, IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO SICILIANO, GIOVANNI ARDIZZONE, HA OPERATO CAMBIAMENTI RADICALI. TAGLIANDO INDENNITA’ E ‘AMMENNICOLI’ VARI A PARLAMENTARI E ALTI BUROCRATI. NOMINANDO UN SEGRETARIO GENERALE GIOVANE. DUNQUE PUNTANDO TUTTO SUL RINNOVAMENTO. DA QUI QUALCHE CONTRACCOLPO DELLA VECCHIA GUARDIA
Il 16 settembre, quando l’Assemblea regionale siciliana riaprirà i battenti, non dovrebbero essere più in servizio, ma in pensione. O, quanto meno, sulla strada del pensionamento. Invece gli undici, forse dodici, forse 13 alti burocrati dell’Assemblea regionale siciliana potrebbero restare ancora in ‘pista’. Di fatto, si potrebbe configurare, mettiamola così, un vero e proprio ‘ammutinamento’ rispetto alla svolta impressa al ‘Palazzo’ della politica siciliana per antonomasia dall’attuale presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone.
Perché la ‘rivolta’ di questi alti burocrati cinquantenni e sessantenni? La ‘lettura’ non è semplice, perché in questa storia giocano motivi psicologici, professionali e anche economici.
La verità è che negli uffici di Sala d’Ercole, negli ultimi anni, è andata in scena una sorta di scontro generazionale tra due modi diversi di intendere l’Amministrazione del Parlamento siciliano.
Ribadiamo a scanso di equivoci: la ‘lettura’ non è semplice, perché non tutti gli alti burocrati, oggi in uscita, e comunque sacrificati dall’attuale presidenza dell’Ars, hanno tenuto lo stesso comportamento.
La storia da raccontare non è semplice. E comincia nella passata legislatura, quando presidente della Regione è Raffaele Lombardo. E quando il PD, sconfitto alle elezioni regionali del 2008, entra nella ‘stanza dei bottoni’ della Sicilia con il ribaltone di Lombardo, che tradisce l’elettorato di centrodestra per ‘imbarcare’ il centrosinistra.
Lombardo, che si è candidato alla guida della Sicilia nonostante alcune questioni giudiziarie ‘in sonno’ che lo riguardano, pensa, con questo passaggio di trasformismo politico puro degno de “I Vicerè” di Federico De Roberto, di garantirsi un futuro giudiziario comodo. Prenderà un clamoroso granchio, se è vero che finirà condannato.
In questa stagione politica confusa, tra trasformismi e tradimenti, anche l’Ars viene risucchiata in questi giochi di ‘Palazzo’. Alcuni alti burocrati di Sala d’Ercole si mettono al servizio di qualche ‘Principe’ del PD: cosa, questa, che irrita i quarantenni dell’Ars, molto critici verso la gestione dell’allora segretario generale, Giovanni Tomasello.
La stagione del Governo Lombardo, piena di ombre, va a braccetto con la gestione dell’Ars di Francesco Cascio, che forse non ferma certe ‘operazioni’ un po’ banditesche che si consumano nel ‘Palazzo’. Per lo più, la gestione Cascio-Tomasello non è brillante e impatta con un avvocato che, per la prima volta nella storia dell’Autonomia siciliana, fa mangiare la polvere agli alti vertici del ‘Palazzo’.
Brutte storie. Che, però, accentuano le divisioni tra i dirigenti quarantenni dell’Ars e un gruppo, in verità ristretto, di alti burocrati che sembrano un po’ troppo vicini al Governo Lombardo.
Si arriva così al 2012, quando il Servizio Bilancio dell’Ars, di fatto, prevede la pesantissima impugnativa di una legge finanziaria che era stata pensata da una politica ‘inciuciata’ con ‘pezzi’ di alta dirigenza dell’Ars.
Quando, ad inizio dell’attuale legislatura, si insedia il nuovo presidente, Giovanni Ardizzone, i giochi sono aperti. Con la vecchia guardia dell’Ars intenzionata a ‘macinare’ i quarantenni.
Ardizzone si mantiene distino e distante dagli uni e dagli altri. La sua prima mossa è quella di sbarazzarsi dell’ex segretario generale, Giovanni Tomasello. La seconda mossa è la nomina del nuovo segretario generale, Sebastiano Di Bella, chiamato per gestire la transizione, ‘sterilizzando’ tutta la vecchia guardia di Tomasello.
Ad Ardizzone non interessano le scaramucce, ma i risultati. Punta sul rinnovamento. E sulla valorizzazione dell’Amministrazione. E, di conseguenza, sull’allontanamento dei dirigenti troppo compromessi con gli ‘inciuciati’. In più, Ardizzone non è del PD e non ha motivo di garantire i rapporti trasversali tra questo Partito e certi alti dirigenti.
Il presidente dell’Ars sa che deve procedere ai tagli delle indennità dei deputati e degli alti burocrati. E procede nell’uno e nell’altro senso.
Alla fine, anche se non senza mal di pancia, Ardizzone riesce a far ‘digerire’ ai parlamentari i tagli delle indennità e degli ‘ammennicoli’. Sulle indennità dei deputati non sono tagli stratosferici. Ma sono tagli che nessuno, prima di lui, era riuscito a far passare.
E’ una vittoria politica importante, quella del presidente dell’Ars. Che taglia e toglie risorse, ‘ammennicoli’ e auto blu a tutti. Ma è anche una vittoria ‘strategica’. Perché tagliando le risorse e benefit vai ai deputati se li ritrova automaticamente alleati quando deve iniziare a tagliare sugli alti burocrati.
A questo punto Ardizzone fa una scelta che, alla fine, è anche logica: tra la vecchia guardia, in parte compromessa con la vecchia politica trasformista del Governo Lombardo e dei suoi alleati, sceglie i quarantenni. Si libera di Di Bella – scelto solo per guidare la transizione post-Tomasello – e nomina Fabrizio Scimè segretario generale dell’Ars.
Sostenuto – questo va detto per correttezza – da tutto il Consiglio di presidenza dell’Ars, schierato per il rinnovamento dell’alta burocrazia.
E’ una nomina di rottura su tutta la linea. Di rottura verso una tradizione un po’ ‘borbonica’ che imponeva il rispetto per l’anzianità, spesso non sostenuta da motivazioni professionali (le ultime, pesanti impugnative delle leggi volute dal Governo Crocetta hanno anche qualche ‘sponda’ dentro il ‘Palazzo’ e la dicono lunga sulla ‘bravura’ di certi ‘scienziati’).
Prima di nominare Scimè – nomina che la vecchia guardia dell’Ars vede come il fumo negli occhi – il presidente Ardizzone, anticipando una scelta del Parlamento nazionale, ha imposto agli alti burocrati il ‘tetto’ di 250 mila euro all’anno.
Questa è una ‘rivoluzione’, per un ‘Palazzo’ dove le aspettative degli alti burocrati ‘viaggiavano’ su un massimo di 600 mila euro all’anno circa per il segretario generale e per cifre più basse, ma sempre significative, per gli altri alti burocrati.
Ardizzone, su questo punto – e gliene va dato atto – non ha ceduto di un millimetro. Anche il nuovo segretario generale non supererà i 250 mila euro di indennità annua. E’, in prospettiva, un taglio secco maggiore del 50 per cento!
Di fatto, i quarantenni hanno accettato di prendere in mano le sorti del ‘Palazzo’ insieme con i tagli. Ma sanno che non potranno più arrivare a certe cifre. Punto.
Non l’hanno presa bene, invece, i protagonisti della vecchia guardia. Intanto si sono visti superati dal nuovo segretario generale. E, già da agosto, debbono subire l’onta di una secca riduzione dello stipendio pari a circa 3 mila euro.
Eh già, perché certi giornali nazionali si ostinano a parlare degli sperperi dell’Ars. Ignorando che la gestione Ardizzone, di fatto, ha ‘tosato’ parlamentari e alti burocrati di cifre significative. Trovarsi in meno circa 3 mila euro al mese in busta paga non deve essere piacevole.
A differenza del presidente della Regione, Rosario Crocetta, che parla sempre di ‘Rivoluzione’, all’Ars una ‘Rivoluzione’ c’è stata per davvero. Sulle indennità e sui ruoli.
I protagonisti della vecchia guardia sono stati ‘mazziati’ sugli stipendi. E sul loro futuro. Ma potranno andare in pensione perdendo solo una parte dell’indennità pensionistica. Di certo, non andranno in pensione portandosi a casa quello che si sono portati a casa i loro predecessori. Di fatto, all’Ars, con l’attuale gestione, si è chiusa un’epoca.
Questo è il motivo per il quale i protagonisti della vecchia guardia sono incazzati neri. Se decideranno di rimanere, per fare la ‘guerra sotterranea’ al nuovo segretario generale – e alcuni, così si dice, avrebbero messo nel conto tale possibilità – dovranno rinunciare a una parte consistente dello stipendio. Se andranno a casa guadagneranno un po’ sull’indennità, ma perderanno potere.
In ogni caso – e questo li sta facendo impazzire – non potranno più avere quello che immaginavano. Su questo punto il presidente Ardizzone li ha fregati…