Io e Annie, la versione restaurata a Palermo Venerdì al De Seta, lunedì al Rouge et Noir

Avrebbe dovuto chiamarsi Anedonia, la clinica incapacità di assaporare i piaceri della vita ma, saggiamente, si optò per Annie Hall che riporta il nome della protagonista. Poi nella versione italiana si modificò ulteriormente in Io e Annie, per far intuire agli spettatori che si trattava di un film con le dinamiche di una coppia. Ma a questo punto avrebbe dovuto intitolarsi Io e Annie e New York, perchè è indubbio che la città sia la terza protagonista, insieme a Diane Keaton e a Woody Allen.

È il film forse più famoso dell’attore e regista statunitense, di sicuro quello più premiato: vinse quattro Oscar (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura e migliore attrice protagonista) e lanciò nell’olimpo di Hollywood Diane Keaton. E adesso torna a Palermo, in una versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Venerdì 11 maggio sarà al cinema De Seta, ai Cantieri Culturali, grazie all’associazione culturale Lumpen. La versione originale sottotitolata, con unica proiezione alle ore 21, sarà presentata dal regista Franco Maresco.  Lunedì 14 maggio è il turno invece del Rouge et Noir, a piazza Verdi, anche qui in versione sottotitolata e con la presentazione, alle ore 20 e 30, di Gian Mauro Costa e di Piero Violante.

È l’occasione di poter rivedere, a distanza di più di 40 anni, una pellicola che segna più di una svolta nella filmografia di Allen e, assieme, del cinema americano e mondiale. L’autore, reduce da pellicole intelligenti ma “leggere”, intrise di una comicità caustica ma immediata avvia il suo grande discorso sulla psicologia dei comportamenti, sui temi insistenti del sesso, delle frustrazioni, delle ansie, delle scelte professionali ed esistenziali. Imbocca cioè con tono ironico e con la grazia di battute fulminanti la strada di una “commedia umana” contemporanea, in un percorso lastricato di nevrosi e tentativi di riscatto e guarigione.

Un punto di svolta, una rivoluzione comica, una disintegrazione romantica. Woody Allen, come Chaplin, scopre il proprio talento nel padroneggiare il riso e il pathos. La sincopata storia d’amore tra Alvy e Annie scompagina ogni ordito narrativo (negli anni la critica parlerà di Ionesco, di Brecht e di Groucho), sullo sfondo di ‘cartoline newyorkesi degli anni Settanta’ che oggi stringono e fanno bene al cuore: glamour femminile fatto di larghi pantaloni, fragilità eccentrica e dipendenza farmacologica, i palcoscenici off del Village, Marshall MacLuhan in fila al cinema. Seems like old times: nel ricordo i due si baciano contro lo skyline visto dal Franklin Delano Roosevelt Drive, e comincia ufficialmente l’era Woody Allen, everyman senza uguali della commedia cinematografica moderna.

L’autobiografia è trasparente e autorizza la chiamata in causa dello spettatore: nell’immagine d’apertura, Woody Allen guarda negli occhi il pubblico e comincia a parlare di sé. L’interpellazione diretta tornerà più e più volte, talora producendo climax comici; l’idea di infrangere l’ordito classico della narrazione viene ad Allen da Passione di Bergman (fonti accreditate anche lonesco e Pirandello, le tecniche di straniamento brechtiano e Groucho Marx in Horse Feathers).


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