«Il mio ultimo libro non è un saggio sulla mafia, e forse non è neanche un’autobiografia perché non racconta la storia della mia vita. Con questo testo ho voluto narrare un pezzo di storia nazionale attraverso le vicende di alcuni uomini». Con queste parole Antonio Ingroia, magistrato palermitano che nel corso della sua carriera si è occupato di casi emblematici come quelli di Bruno Contrada e Marcello Dell’Utri, presenta il suo ultimo libro Nel labirinto degli dèi alla libreria Tertulia di Catania. Presenti anche la storica Pinella Di Gregorio e la giornalista Carmen Greco.
Ad introdurre l’incontro è stata Pinella Di Gregorio, docente di Storia contemporanea della Facoltà di Scienze Politiche. «Il libro di Antonio Ingroia prende le mosse da quel buco nero che gli assassini di Falcone e Borsellino hanno lasciato nella storia italiana», ha subito evidenziato la storica, che ha continuato il suo intervento spiegando al numerosissimo pubblico presente in sala come secondo lei il volume possa essere considerato autobiografico perché sceglie il taglio della memoria, ed è attraverso i ricordi raccolti nel corso di vent’anni d’esperienza che il magistrato racconta la storia di uno dei momenti più bui del nostro paese, e lo fa avvalendosi delle vicende di alcuni personaggi, uno per ogni capitolo del libro. E spesso si tratta di personalità tristemente note come Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Spatuzza e molti altri. La Di Gregorio conclude il suo intervento con una riflessione sul fenomeno mafioso: «Non esiste la contrapposizione tra una mafia vecchia e buona e una nuova e cattiva, esiste solo la mafia che è una patologia della modernità e che deve il suo successo agli insuccessi dello spirito pubblico e alla mancanza di senso dello Stato nella società».
A prendere la parola è poi l’autore del volume che commenta il suo lavoro spiegando: «Con questo libro volevo stabilire un rapporto diretto con il lettore. Lo spirito con cui l’ho scritto è quello di chi è stanco della cattiva informazione che manipola l’opinione pubblica e per questo dice basta. Non volevo raccontare la verità, ma la mia verità». Sulla scelta delle vicende narrate nel testo e che si svolgono principalmente in una Sicilia devastata «dai lutti, dalle tragedie, dalle stragi e dall’ibrido connubio tra poteri criminali e classe dirigente», il Pm palermitano sottolinea che «ai magistrati, tra le altre cose, viene rimproverato di voler fare il mestiere degli altri: gli storici, i sociologi, i politici. Per questo ho voluto evitare di fare una ricostruzione storica della mafia, so che questo compito spetta agli studiosi. Noi magistrati siamo dei giuristi, ma siamo anche pratici del diritto perché abbiamo un contatto più immediato con la realtà e questo ci permette di essere testimoni privilegiati».
Antonio Ingroia, nel corso del suo lungo intervento, parla anche della sua carriera iniziata negli anni Ottanta al fianco prima di Giovanni Falcone e successivamente di Paolo Borsellino. Racconta degli anni del Maxiprocesso di Palermo, delle stragi del ’92 e del ’93, ma anche del periodo del riscatto sociale in cui «l’Italia per bene decise di scendere in piazza e di ribellarsi». E con tono amaro, evidenzia come si sia reso conto nel corso dei lunghi anni di attività, che la storia segue un andamento ciclico perché «in tutti i periodi in cui la magistratura e le forze dell’ordine sono state sostenute dalle istituzioni, si sono ottenuti dei risultati importanti come gli arresti esemplari di Totò Riina e negli anni più recenti di Bernardo Provenzano. Ma è sempre successo che quegli stessi magistrati prima osannati all’unanimità, ad un certo punto iniziarono ad essere ferocemente criticati, e lo furono proprio nel momento in cui con il loro lavoro incominciarono ad intaccare i vertici politici e istituzionali italiani. Questo avvenne prima a Falcone e Borsellino negli anni Ottanta e poi a Gian Carlo Caselli e ai suoi collaboratori negli anni Novanta».
Nel corso dell’incontro non sono mancati però i momenti di discussione dedicati all’attualità. Si discute della polemica di cui Ingroia è stato recentemente protagonista per aver preso parte al Costituzione Day di Roma. «Nonostante le critiche, rivendico il fatto di essere salito su quel palco. Non ho tenuto un comizio politico, ho partecipato ad una manifestazione apartitica organizzata da Libera e Articolo21. Credo inoltre che un magistrato non abbia solo il diritto di esprimere il proprio punto di vista sulla riforma della costituzione, ma ne abbia il dovere».
Sempre in tema d’attualità, in chiusura, il dibattito giunge alla questione tanto discussa in questi giorni dell’arresto di Massimo Ciancimino in seguito all’accusa di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. «Non mi piace commentare in pubblico le indagini ancora in corso, ma ciò che posso dire è che abbiamo sempre usato la massima cautela nei confronti delle informazioni che ci ha fornito. Sapevamo che i suoi racconti avevano dei limiti. Ciò che narrava era spesso il risultato di quanto aveva appreso dai racconti del padre (Vito Ciancimino, ndr) e quindi ne abbiamo sempre considerato il grado di attendibilità. Le sue dichiarazioni non erano mai valide da sole, andavano sempre verificate». Infine, il magistrato conclude sottolineando che «la calunnia riguarda un documento che non era mai stato tenuto in considerazione perché il contenuto era stato giudicato inutilizzabile. Questo significa che le indagini scaturite dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino non sono state intaccate da quello che è accaduto alcuni giorni fa, anche se il reato che ha commesso rischia di compromettere la sua credibilità».
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