Dall’ultimo e unico concerto degli Incognito a Catania erano passati parecchi anni e se i fan storici della band inglese non speravano di rivederli ancora nella loro città, per quelli dell’ultima ora era forse solo una speranza. Si può solo immaginare la felicità di chi un bel giorno, passeggiando per le strade catanesi, riesce a scrutarli sui cartelloni di Catania Jazz, l’entusiasmo di coloro che lunedì 25 gennaio hanno riempito il teatro Metropolitan l’abbiamo toccato con mano. Dopo la chitarra di Al Di Meola e il basso di Marcus Miller, senza dimenticare il fuori programma di Ludovico Einaudi, a riempire le poltrone del teatro Metropolitan ci hanno pensato gli Incognito: la stagione di Catania Jazz, insomma, non delude.
La band inglese è sulle scene musicali da quasi trent’anni: il loro fondatore Jean-Paul Maunick, conosciuto da tutti come Bluey, incise il primissimo album Jazz funk nel 1981. Un nuovo modo non solo di fare musica, ma un vero e proprio movimento culturale che nasceva da un flusso sotterraneo di sensazioni, concetti, musica, ballo e persino modi di vestire. Nel 1993, esce l’album Positively, che li ha resi famosi in tutto il mondo facendo diventare di uso comune un termine da loro coniato: acid jazz. Gli Incognito, secondo il concetto del loro fondatore Bluey, sono una band in continuo cambiamento, sempre aperta a nuovi contributi. Nel corso degli anni si sono alternati alcuni dei migliori musicisti della scena soul and jazz mondiale.
La formazione del concerto catanese: i cantanti Adonistar, Tony Mormrelle, Joy Rose, Vanessa Haynes e i musicisti Matt Cooper, Francis Hylton, Dave Williamson, Sid Gloud, Pete Ray Biggin e Simon Willescroft, che già da qualche anno accompagnano Bluey. Non c’è Maysa Laek, che nel 2004 aveva cantato sette tracce dell’album Adventures in Black Sunshine, ma la nuovissima cantante Vanessa Haynes, con una voce potente e vibrante, non ha nulla da invidiare alla storica cantante. Il concerto inizia con le sonorità dei brani “che hanno fatto la storia degli Incognito”, come dice lo stesso Bluey prima di eseguire Solar fire, pezzo strumentale dall’album Benith the surface, una performance che ha messo da subito in risalto le qualità dei musicisti.
Il pubblico si riscalda sin dall’inizio, grazie al groove trascinante dei pezzi degli Incognito. Brani fatti per ballare, così le sedie del teatro risultanoterribilmente strette a coloro che le occupava.
Quando un gruppo ha una storia quasi trentennale alle spalle, non stupisce il fatto di trovare tre generazioni di fans a un loro live. Certo, qualcuno meno giovane degli altri preferirebbe godersi la musica seduto in poltrona, ma è davvero difficile rimanere fermi e “non parlare a voce alta”, parafrasando un altro storico pezzo della band. Il concerto prosegue con pezzi più recenti. La soddisfazione negli occhi della gente, alla fine, era visibile e chissà se, già il giorno dopo, qualcuno, durante una passeggiata, si sia chiesto quando capiterà di nuovo di vedere un manifesto che annuncia il prossimo concerto degli Incognito. Quando si tratta di buona musica, anche un peccato come l’ingordigia può essere considerato veniale.
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