In Sicilia 29 seggi in bilico col referendum costituzionale Tra risparmio e rappresentanza, chi voterà e chi No

Che fare di 29 seggi? Giudicarli superflui e rinunciarvi oppure ritenerli importanti e difenderli? Se il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre fosse tarato su scala regionale, ai siciliani andrebbe posta questa domanda. Quando mancano meno di due settimane al voto – il primo appuntamento elettorale da quando è scoppiata la pandemia di Covid-19 – il panorama in Sicilia è frastagliato. Se i sondaggi a livello nazionale vedono ancora in netto vantaggio i sostenitori del taglio dei parlamentari, nell’isola i partiti si dividono sulle indicazioni da dare al proprio elettorato. E in alcuni casi le diversità di vedute si rintracciano anche all’interno della stessa formazione politica. 

Quando, come e – soprattutto – cosa
I seggi elettorali saranno aperti in tutta Italia a partire dalle 7 di domenica 20 settembre e lo rimarranno fino alle 23. L’indomani, lunedì 21, i battenti riapriranno alle 7 per chiudersi alle 15. Subito dopo inizierà lo spoglio. Per votare sarà fondamentale, oltre a presentarsi come di consueto con la tessera elettorale e un documento di identità valido, portare con sé la mascherina. L’emergenza sanitaria tutt’ora in corso e lo spettro di un’ulteriore risalita dei contagi con la stagione autunnale impone massima cautela: quindi, prima di entrare nei seggi bisognerà disinfettare le mani, farsi riconoscere senza mascherina ponendosi a due metri di distanza dagli scrutatori e poi entrare nella cabina elettorale. Dopo aver votato sarà l’elettore a inserire la scheda nell’urna, con l’impegno a disinfettare nuovamente le mani dopo l’uso della matita copiativa

Il quesito riguarda la conferma o meno della riforma costituzionale approvata dal Parlamento nell’autunno 2019 e che prevede la riduzione del numero di parlamentari dagli attuali 945 a 600. Una decurtazione del 36,5 per cento per entrambi i rami: i deputati, infatti, passerebbero da 630 a 400; mentre il taglio dei senatori porterebbe gli scranni di palazzo Madama da 315 a 200. Guardando alla Sicilia, la riduzione, come detto, sarebbe nel complesso di 29 parlamentari: nello specifico i senatori passerebbero da 25 a 16, mentre le due circoscrizioni per la Camera vedrebbero il taglio da 25 a 15 nella parte occidentale (Sicilia 1) dell’isola e da 27 a 17 in quella orientale (Sicilia 2). Per quanto sia molto probabile che la modifica costituzionale porti a rimettere mano alla legge elettorale e alla revisione dei collegi elettorali, al momento la distribuzione tra eletti con il sistema proporzionale ed eletti con l’uninominale cambierebbe così: al senato da 16 a 10 eletti con il proporzionale e da 9 a 6 con l’uninominale; alla Camera da 33 a 20 con il proporzionale e da 19 a 122 con l’uninominale. In occasione dei referendum confermativi – come il prossimo – non è previsto il raggiungimento del quorum.

Le ragioni
Chi difende l’esigenza di tagliare il numero dei parlamentari nazionali pone sul piatto la possibilità di risparmiare nei costi della politica: meno deputati e senatori, meno indennità da pagare. Secondo i promotori – Movimento 5 stelle su tutti – un numero inferiore di eletti potrebbe garantire una maggiore efficienza all’operatività del Parlamento, dove da anni il compito legislativo sembra essere stato delegato all’azione del governo. 

Di contro chi si oppone alla riforma, pone l’accento sull’esiguità del risparmio che, annualmente, si aggirerebbe al costo di un caffè per ogni italiano. Sul piano strettamente politico, invece, un taglio dei parlamentari equivarrebbe a una minore rappresentatività dei territori e, di conseguenza, a un maggiore scollamento tra elettorato ed eletti.

I sostenitori del
Chi dal primo momento ha dichiarato di volere cambiare l’attuale conformazione del Parlamento sono i cinquestelle. Il partito fondato da Beppe Grillo, che del taglio dei costi della politica ne ha fatto un vessillo dalla prima ora, ha posto il sì alla riforma costituzionale come condizione per stringere l’accordo in occasione della formazione del governo Conte bis con il Partito democratico. Proprio il Pd, che l’anno scorso in prima lettura al Senato non aveva votato a favore, ieri, per bocca del segretario nazionale Nicola Zingaretti, ha annunciato il sì alle urne, una decisione che è arrivata a margine della direzione nazionale che si è svolta su Zoom. L’indicazione da Roma sarà accolta anche in Sicilia

I sostenitori del No
Il fronte di chi annuncia di votare no per difendere la democrazia nell’isola è parecchio vasto. A partire dal presidente della Regione Nello Musumeci che ha definito la decisione come «omaggio alla mia coscienza». Stando agli annunci a tentare di bloccare la riforma sarà anche il gruppo di Ora Sicilia al Centro che, nonostante i numeri esigui all’Ars, ha avuto alle Regionali in Luigi Genovese un campione di preferenze. Adesso bisognerà vedere se le indicazioni del figlio dell’ex parlamentare Francantonio verranno seguite dal proprio elettorato anche in occasione di un voto sull’impianto delle istituzioni politiche. Tra chi voterà no ci sarà anche Attiva Sicilia, il movimento nato dalla frattura in casa cinquestelle. Foti, Mangiacavallo, Palmeri, Pagana e Tancredi dovrebbero prendere posizioni in netto contrasto con gli ex colleghi di partito. Deciso no – a meno di sorprese all’interno del segreto delle urne – anche dai Italia Viva: i renziani, principali sostenitori del sì in occasione del referendum costituzionale del 2016 che coincise con l’inizio della caduta di Matteo Renzi, hanno anticipato di essere contrari a un taglio percentuale del numero dei parlamentari. Quattro anni fa, in ballo c’era la soppressione del bicameralismo perfetto con la trasformazione del Senato. A votare contro la riforma sarà anche Claudio Fava.

Liberta di coscienza e differenze di vedute
A livello nazionale Forza Italia ha fatto sapere di optare per la libertà di coscienza, senza prendere posizioni univoche su come bisognerà votare. Anche in Sicilia, sono diversi gli esponenti forzisti che ribadiscono il concetto, ma c’è chi fa eccezione: il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè è schierato con il no, ritenendo la riforma un esercizio di demagogia. Un convincimento che, molto probabilità, cercherà di trasmettere anche ai propri luogotenenti ed elettori. Infine c’è il caso Lega: il partito di Salvini ha votato la riforma in tutte e quattro i passaggi in parlamento (due alla Camera e due al Senato) e ancora oggi risulta schierato per la necessità di tagliare il numero degli eletti. Tuttavia – il discorso vale anche per la Sicilia – a fronte di chi dichiara che il partito voterà compatto per il , non tanto per una questione di risparmio bensì di efficienza, c’è chi fa sapere che la matita copiativa solcherà la casella del no.


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