«Ci sono adolescenti che non hanno mai avuto una conversazione che vada oltre i convenevoli con i loro padri e bambini che non hanno mai giocato con le loro madri». A separarli ci sono le sbarre del carcere, a provare a riunirli ci sono quattro volontarie dell’associazione Officina SocialMeccanica che, da oltre cinque anni, nella casa circondariale di piazza Lanza a Catania portano avanti attività «di promozione e utilità sociale utilizzando la metodologia del teatro sociale come strumento di analisi della realtà e di intervento per realizzare iniziative formative ed esperienziali», come spiega a MeridioNews Maria Chiara Salemi che è una delle socie. Dalla partita di calcio con i papà alla consegna delle calze della Befana realizzate dalla detenute, dai racconti animati ai progetti di teatro sociale. «L’obiettivo – sottolinea la volontaria – è creare all’interno del carcere un luogo a dimensione di bambini e ragazzi».
Il modello è quello dello spazio giallo: aree dell’istituto penitenziario integrate, socioeducative e di accoglienza dei bambini che si preparano al colloquio con il genitore detenuto. Spazi più giocati e più ludici che permettano un tipo di comunicazione più spontanea tra madri o padri e figli. Anche perché dietro le sbarre creare dei rapporti è difficile. «Così il gioco o il teatro diventano uno strumento per costruire una relazione uscendo dalle poche parole dette, dalle frasi fatte che spesso non riescono ad andare oltre un dialogo che sembra quello tra estranei. Il nostro modello – spiega Salemi – è il teatro sociale che parte dall’esigenza delle persone e arriva ad attività pensate per il gruppo». I detenuti e le detenute scelgono spontaneamente di aderire al progetto che è pensato per figli dai nove ai 17 anni, «anche se – afferma la volontaria – nei nostri laboratori accogliamo anche bambini a partire dai cinque anni».
Quella tra Officina SocialMeccanica e il carcere di piazza Lanza a Catania è una collaborazione nata nel dicembre del 2016 quando l’istituto penitenziario decide di aderire alla Partita con papà organizzata da Bambinisenzasbarre, un’associazione che a livello nazionale da vent’anni è impegnata nella tutela dei figli di persone detenute e lavora per offrire sostegno psicopedagogico ai genitori detenuti e ai figli, colpiti dall’esperienza di detenzione di uno o entrambi i genitori. «Loro hanno chiesto a noi di occuparcene – ricorda la volontaria – e da lì è arrivata poi la richiesta del carcere di una collaborazione stabile. Dal 2017, lavoriamo con il reparto femminile sui temi della genitorialità e, nel 2020 abbiamo vinto il bando Un passo avanti della fondazione Con i bambini con il progetto Il carcere alla prova dei bambini e delle loro famiglie». Il filo conduttore è la Carta dei figli di genitori detenuti, il primo documento europeo (in Italia il protocollo d’intesa è stato rinnovato il 16 dicembre, per altri quattro anni, con la firma della ministra della Giustizia Marta Cartabia) che riconosce formalmente i bisogni di questi bambini e li trasforma in diritti. Non solo l’apertura di nuovi spazi gialli, ma anche la formazione specialistica della polizia penitenziaria, percorsi alternativi alla detenzione per tutelare il rapporto tra genitore detenuto e figlio. In questo stesso senso vanno anche le attività teatrali.
«Nel carcere di piazza Lanza – racconta Salemi – quello del teatro sociale è un progetto che portiamo avanti dal 2018 con un laboratorio sul tema della maternità nel reparto femminile». A questo si affiancano anche momenti più prettamente ludici: «Dal 2019, ogni anno abbiamo istituito l’appuntamento con la festa della Befana nelle sale colloqui dell’istituto penitenziario». Non solo un’occasione per distribuire ai più piccoli le calze piene di dolcetti da portare a casa. «È il giorno in cui vanno in scena i racconti animati – illustra la volontaria – Ogni intervento ha la durata di dieci o quindici minuti al massimo e
consiste nella lettura animata e interattiva di un racconto per bambini. Poi arriva il momento della foto ricordo del gruppo famiglia che viene scatta in un angolo della sala in cui abbiamo realizzato un’ambientazione». Una fotografia che sarà poi stampata in duplice copia ed entrambe verranno consegnate alla mamma detenuta o al papà detenuto. «Saranno poi direttamente loro a regalarne una ai figli durante il colloquio successivo. Un’immagine che da entrambe le parti viene custodita con cura perché – conclude la volontaria – rappresenta una relazione rinnovata o più profonda».
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