Il Sud puzza: dal Volturno a Taranto a Gela a Priolo ad Augusta a Brindisi e in Val d’Agri

RAGIONANDO SUL NUOVO LIBRO DI PINO APRILE

di Linda Cottone

Il Sud puzza. Puzza da morire di cancro, di leucemia, di

polmoni, di malattie genetiche. Puzza un po’ ovunque: nella

Piana del Volturno, a Taranto, a Gela, a Priolo e Augusta,

a Brindisi e in Val d’Agri. Puzza di monnezza accatastata

da decenni, di scarti dell’industria petrolifera e di quella

della produzione di cemento, di residui gassosi e no della

chimica di trasformazione, di fumi di altiforni per fare l’acciaio

e di rifiuti tossici interrati o bruciati illegalmente.

Con quella puzza si campa male e si muore troppo. E per imporne

la sopportazione, potentati economici del Nord e lo

Stato, di fatto, si alleano con la mafia; soffocano le proteste

dei cittadini a manganellate, denunce, querele (e la camorra

uccide don Peppe Diana); si trasferisce pure qualche

funzionario troppo zelante o se ne blocca la carriera. E cosi

da decenni. Ma ora c’e chi ha deciso di non sopportarlo;

sono tanti e diventano sempre di piu. Se gli chiedi: “E voi

dov’eravate, mentre vi facevano questo, dormivate”, ti

senti rispondere:”E stata la puzza a svegliarci”.

Non e vero: scambiano gli effetti con la causa. Ho vissuto

anni avendo come dirimpettaio lo stabilimento siderurgico

di Taranto: era dall’altra parte della strada. Alla puzza

ci si abitua; dopo un po’, non ci fai piu caso: come non ci

fosse.

No, non si sono svegliati perché hanno sentito la puzza,

ma si sono accorti della puzza, perche si sono svegliati; per

questo non la sopportano piu. Scoprire di aver accettato di

conviverci cosi a lungo ha suscitato vergogna. E un sentimento

forte: se non ti distrugge, ti eleva. Chi si vergogna,

o si nasconde, perche accetta l’idea di insufficienza che genera

quel sentimento; o si riscatta, perche dimostra che

quell’insufficienza non e vera.

A capolinea della strada che comincia con la vergogna, c’e il suo contrario:

l’orgoglio. E posso dirvi che c’e tanta gente in marcia, su quella via, a

Sud: cominciano da soli, ma strada facendo, si uniscono,

diventano comunita, fanno cose importanti, non accettano

piu di essere “meno”: sono nuclei di societa che cambia,

recuperano un nuovo ordine, intrappolato fra il vecchio e

il caos; e chiedono rispetto, equita. Anzi, lo pretendono.

Lo ripeto per chi non volesse capirlo: si sono svegliati,

hanno sentito la puzza. Anche quella che si presenta in

doppio petto, con la fascia tricolore.

la rete 9

LA RETE

La conta dei giusti non basta. Non e sufficiente che, per

salvarsi, una comunita ne abbia un certo numero (e quel

numero, a volte, puo essere: uno). Il Sud ne ha avuti e ne

ha tanti; lo ricordo spesso, ma non inutilmente, spero: fate

la lista dei martiri civili dell’antimafia, dell’informazione

che non si piega al crimine, dei ribelli al ‘pizzo’, dei magistrati

che posero il loro compito più in alto della loro vita,

degli amministratori convinti di poter e dover dimostrare

che i prepotenti non sono i padroni delle regole, dei preti

che vogliono salvare anche i lupi, ma chiamano lupi, i lupi

e dicono sempre”Sì, sì; no, n0″, perché, è scritto: “Quello

che direte in più viene dal Maligno”.

Contate i meridionali. Ve ne riparlo nel prossimo capitolo.

Di Sud e giustizia. Di questo parlo: di Sud e di giustizia,

oggi. Anche se pare che la pigli alla lontana. Di giustizia

da rendere e pretendere. E di come farlo, per non sprecare

i giusti. Che sono tanti, ormai, si riconoscono fra di loro,

agiscono insieme, formulano strategie e le mettono in pratica;

e la gente si fida di loro, li segue. Sempre piu spesso,

con i pochi, si muove un popolo in cerca di soluzioni per

le discariche, i veleni dell’Ilva e dell’Eni, l’arroganza e

l’avidita del crimine organizzato; contro la prepotenza e la

sottomissione, in tutte le sue forme. Per questo ci sono

tante donne fra loro.

10 la rete

Il tempo del silenzio e dell’inazione e alla fine, se dobbiamo

fidarci di una moderna matematica applicata alle

organizzazioni umane e di una illuminante scoperta della

psicologia sociale che i suoi autori mi hanno permesso di

anticipare (il risultato dei loro studi verra reso noto nel

2014).

Si identifica il Sud con Gomorra. Ma quella vicenda biblica

dice pure altro. Gli angeli del Signore fanno visita ad

Abramo, prima di distruggere Sodoma e Gomorra, “a cagione

delle loro nequizie” (la frase mi e rimasta impressa,

ero poco più che ragazzino. La trovavo, non scherzo, divina;

quando mai il Signore avrebbe detto: “Perche ne facevano

di tutti i colori?”).

Non sono sempre stato ateo: smisi di credere per amor

di giustizia. Non voglio annoiarvi con i fatti miei, solo spiegare.

La prima cosa che non riuscii a perdonare a Dio fu la

strage degl’Innocenti: lui scappa, mentre gli altri vengono

uccisi al posto suo e persino guadagna tempo, mentre i

soldati di Erode fanno mattanza di neonati. Il prete ci spiegava

che questo accadeva, perche il figlio di Dio era venuto

a salvarci. Lo accettavo senza capire, per fede e non

convinto; poi non lo accettai e basta (lasciate perdere la

teologia, ero bimbo e poi adolescente, e il mio metro della

giustizia non riusciva a coprire quelle distanze).

L’altra vicenda che non ero capace di misurare era la

maggiore misericordia di Abramo, rispetto a quella del

suo Signore. Dio non riesce a emendare le anime dei tristi

di Sodoma e Gomorra e ne decide lo sterminio. Ma non

abbiamo tutti (credenti e no, assicura chi ha fede), quale

primo diritto, quello d’esser giudicati a uno a uno, almeno

al cospetto di Dio? E Abramo che lo ricorda al Signore:

“Se ci fossero anche solo 50 giusti in Sodoma e Gomorra,

risparmieresti le citta per amore di quei 50?”. E il

Signore accetta. Poi comincia l’incredibile trattativa: e se

fossero 45, 40, 30, 20, o solo 10?  “…risparmierei le citta per amore di quei giusti” consente Dio.

Abramo trova in contrasto con i principi in cui crede

che i giusti paghino le colpe dei malvagi (ma dall’ebraismo

nascera il cristianesimo, proprio quando le colpe di tutti

saranno pagate da Uno solo). E cerca di salvare, mi pareva,

non tanto le citta, che non lo meritavano, quanto le basi

della (sua idea di) giustizia. Abramo, sulle colpe degli uomini

e sul fatto che ognuno risponde solo delle sue azioni,

distingue piu del suo Dio (e piu moderno, se si volesse

raffrontare all’oggi). Mentre la violenza, sia pure divina, e

cieca, colpisce nel mucchio ed entra in gioco se gli argomenti

non bastano; serve per vincere, quando non si riesce

a convincere. Infatti, a Sodoma e Gomorra, la parola del

Maligno e piu ascoltata. Ma Dio e piu forte e risolve a modo

suo. (Non sto andando fuori tema, anche se lo sembra;

vi assicuro che “sto sul pezzo”. Solo un po’ di pazienza e lo

dimostro).

Dieci giusti non li trovarono, gli angeli sterminatori. Ma

anche li avessero trovati, avrebbero meritato davvero la

salvezza? Non e il numero dei giusti a salvare le comunita,

e la loro opera; invece, Lot, un giusto, cugino di Abramo,

vive con i suoi familiari fra i sodomiti, ma escludendosi dal

male della citta, senza tentare di eliminarlo: si chiude al

mondo, per salvare se stesso. E la scelta di chi, avuto un

bene, lo conserva, senza metterlo all’opera e a rischio, per

aumentarlo e condividerlo (ricordate la parabola cristiana

dei talenti?). La Bibbia non dice quanti giusti ci fossero fra

Sodoma e Gomorra (meno di dieci, se no le citta sarebbero

oggi fra le prime cinque mete del turismo mondiale). Ma

anche fossero stati soltanto due, se ne stavano per conto

proprio, “non connessi”.

Piu tardi un altro ebreo, Saul, per i romani Paolo di Tarso,

rese “possibile la trasformazione di una piccola setta

ebraica, nella piu importante religione occidentale dei successivi duemila

anni” scrive in Link.

La scienza delle reti, Albert-Laszlo Barabasi, gia docente di fisica teorica

all’universita di Notre Dame, nell’Indiana, ora alla Northeastern

University di Boston, dove dirige il Center for Network

Science. Come fece Paolo?

Prima un cenno sulla geometria delle reti: e un campo

nuovo della matematica, aperto da Paul Erdo?s, uno dei piu

grandi geni di sempre, forse il maggiore del Novecento,

almeno equivalente, nella matematica, di Albert Einstein

nella fisica (fu per rispondere a lui che il padre della Relativita

disse: “Dio non gioca a dadi”). Cos’e questa geometria?

Immaginate di tracciare delle rette che colleghino gli

aeroporti, secondo il numero e le destinazioni dei voli; o

che rappresentino i segnali scambiati dalle cellule cerebrali;

o il traffico di connessioni internet; o il turnover di professioniste

in una catena di case di appuntamento (questo

non sono sicurissimo che la geometria delle reti l’abbia

considerato), la distribuzione dell’energia elettrica… se andate

a vedere le figure che ne risultano, vi apparira una

serie di incroci, detti nodi (o hub, i piu grossi) e di linee. Vi

sorprendera scoprire che la mappa e piu o meno la stessa,

come se tutto quel che ha uno svolgimento nello spazio

(persino spazio pensato, metaforico) avesse lo stesso scheletro,

“come se l’architetto della vita non sapesse disegnare

altro”, scrive Barabasi. I legami fra i nodi possono essere

forti o deboli, perche ci sono nodi collegati da milioni di

linee e altri da una sola. Le cose sono un po’ piu complicate

di cosi, perche Erdo?s e Alfred Renyi (altro ungherese e

cervellone) concepirono reti disegnate dal caso. Ma quello

che importa ora e sapere perche Saul-Paolo ottenne un tale,

clamoroso risultato. Lo si puo dire cosi: Lot era in una

rete chiusa (coincideva con la sua famiglia) di legami forti;

quanti ne fanno parte condividono conoscenze, idee, comunicano

soltanto fra loro e tutti hanno piu o meno lo

stesso numero di contatti con gli altri. Saul-Paolo costruisce una rete nella

quale alcuni hanno tantissimi contatti

con tutti o quasi (metti: il vescovo), altri meno (i riferimenti

intermedi della comunita religiosa, diciamo i preti), alcuni

pochi (legami deboli), ma tutti sono in grado, in qualsiasi

momento, di raggiungere chiunque, attraverso il

collegamento garantito da legami forti e deboli (il treno fra

Frascati, sui Castelli Romani, e Fregene, al mare, non c’e;

ma ci si arriva lo stesso, perche sia da Frascati che da Fregene

si va in treno a Roma).

Paolo fa questo, perche convinto che quando hai un bene,

non devi conservarlo, ma condividerlo. E si mette in

viaggio. In dodici anni “cammino per quasi diecimila miglia” scrive

Barabasi. “Non si mosse a caso, ma si rivolse alle piu grandi comunita

deltempo”. E le pose in contatto fra loro. Ma fa di piu: opera in modo che

anche quelle piccole e periferiche abbiano un legame con le maggiori e

con lui direttamente (debole, magari solo una lettera:

“Dall’epistola di Paolo agli Efesini…”, perché vero o no

che a Efeso ci fossero santi dormienti, gli altri erano svegli

e qualcuno sapeva leggere). Così, attraverso le comunita

maggiori o tramite lo stesso Paolo, ogni comunita cristiana

e collegata con tutte le altre (Frascati, Fregene…).

Ma appena ogni nodo della rete stabilisce almeno un

legame (link) con tutti gli altri, avviene “un miracolo”,

scrive Barabasi (siamo in tema, no? Ma il fatto succede

pure senza intervento di santi): “Emergera un unico cluster

gigante. I nodi, cioe, diventeranno tutti parte di un

unico insieme”. Non vi serve capire cosa significa cluster,

passate oltre. Vi basti sapere, per quanto ci interessa qui e

ora, che succede qualcosa di molto importante: “I matematici

definiscono questo fenomeno l’emergenza (proprio

nel senso di emergere; N.d.A.) di una “componente gigante”

(…scusate, vedo mia madre un po’ in affanno: ma’, non

preoccuparti se non ti è tutto chiaro e alcuni termini ti disorientano.

Ti garantisco che se vai avanti, alla fine capisci l’essenziale. E di più non è

necessario; N.d.A.); i fisici lo chiamano

percolazione, e vi diranno che avete appena assistito

a una transizione di fase, come quando l’acqua si trasforma

in ghiaccio; i sociologi (e qui volevo arrivare; N.d.A.) vi

spiegheranno che i vostri soggetti hanno appena dato vita

a una comunita”. (Questo e un passaggio importante. Tutta

la tiritera precedente serviva per poter dire questo. Perche

di una nuova comunità che nasce tratta questo libro.)

Quando tutti i nodi riescono a essere collegati, pur se da

un solo legame, il sistema raggiunge la sua massa critica e

sviluppa per intero il suo potenziale, come un motore che

puo essere acceso e partire, quando l’ultimo cavo completa

il circuito (Barabasi non lo direbbe cosi; ci perdonera).

Ecco cosa costrui Saul-Paolo: un cluster gigante, una

comunita che, in forza di nodi-snodi principali e di legami

deboli con quelli secondari, esiste, resiste e si estende da

duemila anni.

“Ognuno di noi vive all’interno di un grande cluster”

avverte Barabasi: “La rete sociale di tutto il mondo, da cui

nessuno e escluso”. E all’interno di quella, si puo far parte

di altri cluster (“Tutto fa parte di tutto”, diceva Jorge Luis

Borges), tipo quello costruito da Saul-Paolo, che ingloba

piu di due miliardi di persone: la religione piu diffusa al

mondo (a sua volta composta di reti diverse ma collegate:

quella cattolica, la maggiore, ortodossa orientale, quelle

protestanti).

Perche parlo di queste geometrie? Perche accadono cose

interessanti, al Sud: ci sono sempre piu comunita che

reagiscono al disagio e all’abbandono, ricomponendosi intorno

a progetti, strategie, con, e piu spesso senza, l’appoggio

di istituzioni o persino contro. Questi fenomeni sociali

generano nuove associazioni e ne sono generati, in numero

crescente; per emulazione e contrapposizione. Fra questi

poli, all’inizio autonomi, comincia a stendersi una rete di

collegamenti, a mano a mano piu vasta, che coinvolge

gruppi operanti in campi diversi, lontani, non solo geograficamente.

Non so quanto manchi alla nascita di una “componente

gigante” che si estenda all’intero territorio, di una

comunita rinnovata, a partire dalla soluzione di problemi

o, almeno, dalla disposizione a unirsi per affrontarli insieme.

Ma il Sud e su questa via: c’e un numero crescente di

hub (ricordate?: i nodi della rete che hanno piu legami con

gli altri): si tratta di associazioni, iniziative sociali capaci di

coinvolgere localmente migliaia di persone, soprattutto su

temi di legalita, ambiente, lavoro, salute, volontariato. Non

so quando e se si raggiungera la massa critica che rende il

fenomeno irreversibile (e l’ultimo grammo, dopo 999, che

fa un chilo); ma il tipo di fenomeno in costruzione e questo,

a proposito di: “Qua non si muove mai niente…”.

Per riferirne, ancora una volta stupito di quanto ci sia a

Sud, e quanto poco si veda e si sappia, ho scelto di raccontare

cos’accade in alcuni nodi piu grandi: da Taranto (citta

che, violentata e offerta al drago da istituzioni assenti o

colluse, cerca da sola la strada per salvare lavoro e salute, o

almeno la salute), a Ercolano (gia capitale del “pizzo”, oggi

presa a esempio, nel mondo, di come liberarsene); dall’universita

cosentina di Arcavacata (dov’e nato il primo corso

di studi di Pedagogia della Resistenza civile, sette iscritti il

primo anno, cinquecento il terzo), al quartiere napoletano

simbolo del male assoluto, Scampia (che dai suoi veleni sta

sintetizzando l’antidoto); dalla entusiasmante esperienza

di ‘Addiopizzo’, a Palermo (con la creazione, in pochi anni,

di una comunita etica che sul no all’estorsione mafiosa, ha

costruito un codice di comportamenti e una economia virtuosi),

agli ambientalisti della Campania una volta felix

(oggi ridotta a discarica clandestina di rifiuti tossici inviati

dal Nord, complici la massoneria e la camorra); alla galassia

di cooperative e associazioni, in Calabria, per creare lavoro

e liberarsi dalla pressione della ’ndrangheta.

Due sentimenti di incontenibile potenza stanno formando un Sud non

ancora maggioritario, ma con un futuro,

gia prossimo, che ribalta il passato: la vergogna (di una situazione

che non si accetta piu) e l’orgoglio (di aver recuperato

la consapevolezza del proprio valore). Dei due sentimenti,

il secondo e importante, perche induce a fare,

all’impegno civile; ma il primo fa nascere una comunita

piu sana, perche ci si vergogna solo per qualcosa che degrada

l’individuo di fronte agli altri. Nessuno si vergogna

da solo; per farlo, ci vuole una societa. La comparsa di

tanta, inedita vergogna, a Sud, per cose che prima e ancora

adesso, ma sempre meno, erano motivo di orgoglio (come

l’ostentazione di un potere non importa se criminale), e il

segnale inconfondibile di una rifondazione sociale. Ho 63

anni, giornalista da poco piu di 43; per la fiducia che ho

negli altri, sapevo che sarebbe successo, ma non credevo

che sarei riuscito a vederlo.

E la vergogna che rifà il mondo. Da quella, quando non

e piu tollerata, scaturisce il coraggio, che porta alla rivalutazione

di se stessi, delle proprie capacita; cosi, ci si rispetta

e si viene rispettati di piu; la testa che era china si rialza,

lo sguardo che sfuggiva affronta gli occhi dell’altro; l’orgoglio

per la considerazione intima e sociale recuperata chiede

altri comportamenti.

Ascoltate Saro Barchitta, presidente della piu grande associazione

antiracket d’Italia, quella di Scordia, nel Catanese:

“Io pagavo e mi vergognavo. Piu che la paura, non

riuscivo a superare la vergogna. Ti senti un verme, perche

li conosci quelli dinanzi a cui ti inginocchi: gente che non

vale nulla. Venivano nella mia cava, si prendevano quel

che volevano e andavano via senza pagare. E io zitto, ero il

loro schiavo, non avevo piu rispetto di me stesso. Ma devo

ringraziarli, perche un giorno hanno esagerato, mi hanno

voluto umiliare oltre la mia capacita di sopportare. E ho

denunciato. Dio, che bella la liberta! E ho saputo di non

essere solo. E sorta la nostra associazione. Sono fiero di

essere con questo gruppo di persone serie, per bene, che

mi hanno pure voluto come loro presidente. Adesso mi

stimano tutti, in paese, mi chiamano ovunque, pure al

Nord, a parlare della nostra esperienza. La mia azienda,

nonostante la crisi, va come mai avrei sperato. Posso guardare

tutti negli occhi. Benedico ogni giorno quello che mi

e capitato, perche solo affrontandolo mi sono liberato della

mia vergogna. Nemmeno in sogno sarei arrivato a capire

quant’e bello. Ho 68 anni, ho sconfitto due carcinomi, ho

corso trenta maratone, incluso quest’ultima di Parigi, e le

ho finite tutte, perche ora so che se voglio, posso. Io sono

un uomo felice”.

Lui parlava, io lo guardavo stranito. Se n’e accorto, non

si e offeso, ha sorriso: “La mia fortuna è quello che mi e

successo: senza quel male, non avrei conosciuto questo bene”.

E che vi devo dire… credo che abbia ragione lui; se mi

chiedo com’e la faccia di un uomo felice, be’, la sua lo era.

18 la vergogna

LA VERGOGNA

“Ah, lei e quello che parla bene del Sud!”, dice il giovane

imprenditore, cui mi hanno appena presentato. Il limite

della scrittura e non poter riportare i toni: un misto di curiosita

e scetticismo, di chi sa che le cose stanno diversamente.

Insomma: come si fa a parlarne bene? E meridionale,

siciliano e pure “saputo” (e potrebbe essere portato a

esempio di quel Sud che racconto: innovatore nell’impresa;

socio di un gruppo antiracket). Dovrei spiegargli che io riferisco

di avvenimenti, con nomi, cognomi, indicazioni di

citta e date: faccio parlare i fatti; e se riporto riflessioni (non

sempre mie) derivano da quei fatti. Invece, taglio corto:

“Diciamo che sono quello”. E lui mi guarda come si guarda

uno strano. Potrei dirgli che conosco altri tipi bizzarri: uno

che sa parlare all’incontrario; un ragazzino che fa a mente

moltiplicazioni a quattro cifre e un altro che colleziona

stuzzicadenti usati. Suona cosi poco credibile che il Sud e i

meridionali siano un posto e persone che possano decidere

di migliorare la propria condizione e farlo; e riuscirci…

Ma se cambia la vergogna, cambia il mondo: saltano le

regole che lo governano, perche ci si vergogna di altro. Per

dirla diversamente: se prima ci si vergognava di essere ladri

(di biciclette), oggi, di non avere l’iPad.

A volte, per farmi capire, esagero: “La mafia ha perso il

suo potere piu grande: il mistero. Grazie a Rocco Chinnici,

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e a tanti come loro, i

mitici boss dei boss hanno una faccia, spesso banale, e una

storia, spesso mediocre, grandi solo nella ferocia, arma degli

stupidi (chi non ha testa, usa le mani). Senza il fascino

del mistero, il mafioso perde l’inconfessata ammirazione di

molti, mentre altri ne superano la paura (temi quello che

immagini, piu di quel che conosci). E al Sud, ormai, ci sono

troppi figli di Falcone e Borsellino. La mafia sembra

quella di prima, pure piu ricca, ma e un cadavere che cammina”. Cosi, tutto

d’un fiato, un pomeriggio d’estate, sulla

terrazza del castello di Pizzo Calabro.

“Sì, ma quel cadavere gode ancora di troppa buona salute”, si premura di

avvisare il magistrato e relatore, dopo

di me, al convegno. E meno male che provvede lui.

Ma io cosa intendevo dire, esagerando? (E davvero esageravo?)

Si ritiene il dominio mafioso esistente da secoli.

Non e vero: gramigna fresca e. E dominio inestirpabile:

onnipresente, indistinto, come l’aria; e come quella, persino

necessario, in un certo senso. Ma nemmeno questo e

vero: da cronista, appena una trentina di anni fa, chiedevo

a Rocco Chinnici quante generazioni ci sarebbero volute

per distruggere la testa della Piovra. Invece, in pochi anni,

tutti i capi della mafia sono finiti in galera e gli arresti si

contano a migliaia, a cosche intere; le connivenze con il

potere politico e statale producono inchieste con nomi e

cognomi di parlamentari e ministri di cui si chiede l’arresto.

E per dire quanto in alto si salga: il presidente della

Repubblica, Giorgio Napolitano, deve ricorrere alla Consulta,

per far distruggere le sue telefonate con l’ex ministro

dell’Interno, Nicola Mancino, che gli chiede aiuto, perche

accusato di falsa testimonianza sulla trattativa Stato-mafia

(cos’e che non dovevamo sapere?). Per le mie figlie e un

fatto ordinario che i Riina, i Provenzano vengano stanati

dopo quasi mezzo secolo di latitanza, sepolti vivi in carcere,

all’isolamento del 41bis, i loro beni sequestrati. Per

la vergogna quelli della mia eta, prima, di quei boss esistevano una foto

giovanile e un’elaborazione “invecchiata”, per mostrare

“come sarebbero oggi, posto che siano ancora vivi”. Gia,

perche non si era sicuri nemmeno di questo.

Cosa e accaduto in cosi poco tempo, per passare dal mito

alla cronaca?

Queste storie cominciano sempre con uno che, un giorno,

decide di non accettare l’inaccettabile che tutti accettano

(perche rassegnati, o per dare una scusa alla propria

vilta). Quell’uno fa una brutta fine, che si chiami Placido

Rizzotto, sindacalista, Libero Grassi, imprenditore, Pino

Puglisi, prete, o Peppino Impastato, giornalista, Paolo

Giaccone, medico. Ma dopo uno, ne viene un altro, e poi

un altro, e poi un altro… Piu i mafiosi hanno bisogno di

uccidere chi si oppone, piu perdono potere: con gli eroi

civili, seppelliscono una parte del loro dominio, perche il

male immaginato e tanto maggiore, quanto meno si mostra

(appena si manifesta, la sua forza puo essere misurata).

Cosi, il mondo cambia. Ed e cambiato.

Ma chi se ne accorge?

Mettete in un unico cimitero tutti gli italiani uccisi per

non essersi piegati alla mafia o averla combattuta: sindacalisti,

giornalisti, imprenditori, professionisti, contadini, cittadini

indomiti o che avevano il torto di essere imparentati

con qualche “resistente” o passavano nel posto sbagliato,

nel momento sbagliato; e poi poliziotti, politici, carabinieri,

magistrati… Nella lista del blog “Vittime di mafia”, fra

nomi in elenco e da inserire, ce ne sono circa un migliaio

(escludendo le migliaia di morti per guerre di mafia): quasi

tutti meridionali, meno Giorgio Ambrosoli, Carlo Alberto

Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carrari, il procuratore

torinese Bruno Caccia e pochi altri.

Ma chi ne tiene conto?

Nella percezione comune, il Sud e mafia; il Nord ne e

indenne e vittima.

La Calabria? “E la parte piu brutta dell’Italia? spiega, in

tv, al programma piu visto della domenica pomeriggio, il

parlamentare piemontese Guido Crosetto (se lui e il “Gigante

buono”, di quello cattivo possiamo far a meno).

Pensa che non ?ci sia un camion di sabbia, un centimetro

di asfalto o di cemento dove dietro non ci sia la camorra”

(oddio, sarebbe la ’ndrangheta, ma fa niente: sempre meridionali

e delinquenti sono; N.d.A.). “Io mi rifiuto di andare

in Calabria (…) perche non so con chi mi posso trovare a

competere e quindi siccome non voglio, dopo cinque o

dieci anni, trovarmi con qualcuno di cui mi vergogno…”.

Io credo che Crosetto della bestialità delle cose che dice

sia inconsapevole e con questo dimostri che la vergogna,

come la memoria, e selettiva: e stato eletto al Parlamento, in

un partito nato (secondo le testimonianze dei pentiti) con

l’interessamento dei fratelli Graviano, boss mafiosi indagati

per stragi (Falcone e Borsellino) e gli attentati dei primi anni

Novanta, per indurre lo Stato alla trattativa; un partito

sorto per mano di Marcello Dell’Utri, condannato per mafia,

con sentenza non definitiva (e piu volte senatore, ?per

legittima difesa”, dalla galera); lo stesso che, vedi intercettazioni,

discute con un latitante di ’ndrangheta di un pacchetto

di decine di migliaia di voti in Calabria, e riceve i boss

della Piana di Gioia Tauro nel suo ufficio a Milano. Il partito

di Cesare Previti, espulso dal Parlamento per la sua fedina

penale, e di Nicola Cosentino, che il centrodestra di

Crosetto&Co. sottrasse ai giudici, “trattenendolo” in Parlamento,

nonostante l’accusa di essere il braccio politico della

camorra piu feroce, quella dei Casalesi. Lo stesso partito il

cui leader, Berlusconi, e sfuggito a imputazioni pesanti, solo

grazie a decine di leggi ad personam (Crosetto sa chi le ha

approvate?); del quale sono certificate frequentazioni con

boss mafiosi agli inizi della carriera imprenditoriale e che,

da capo del governo, con Dell’Utri, proclamo pubblicamente

suo eroe il boss pluriomicida e trafficante di droga

Vittorio Mangano; un leader corruttore di giudici e testimoni,

con condanna definitiva per evasione fiscale (“delinquente”

per sentenza passata in giudicato), in attesa di giudizio

per prostituzione minorile di una marocchina che il

partito dei Crosetto ha fatto passare, con voto di maggioranza

in Parlamento, per nipote del presidente egiziano

Mubarak. Crosetto non va in Calabria, perche non sa chi

potrebbe incontrare; preferisce andare sul sicuro, diciamo…

Ne puo ignorare che la ’ndrangheta e da decenni a Torino

e nella sua regione (seconda solo alla Calabria, per questo,

in concorrenza con la Lombardia); La Stampa ha

pure pubblicato la mappa del capoluogo con la suddivisione,

quartiere per quartiere, delle zone d’influenza delle varie

cosche e i nomi dei mafiosi “locali” (di alcuni si sa pure

a chi portano i loro voti. Non gratis); da imprenditore,

l’onorevole sa che sui lavori per l’alta velocita ferroviaria in

Val di Susa incombono le mire di una potente famiglia di

’ndrangheta della costa jonica; e avra letto pure lui delle

cittadine piemontesi i cui consigli comunali son stati sciolti

per mafia; da politico, forse puo aiutarci a capire come

mai la ’ndrangheta sia stata inserita tra le associazioni mafiose

solo nel 2010.

Ora, uno che in Calabria troverebbe piu o meno quel

che ha gia intorno a se, perche dice quelle cose? Crosetto

ha l’innocenza degli ignoranti, nel senso tecnico del termine:

sicuro non sa che i primi sindaci a far costituire parte

civile il proprio Comune, in processi contro la mafia, furono

calabresi, Ciccio Modafferi, di Gioiosa Jonica e Aldo

Alessio, di Gioia Tauro; che l’elenco di sindaci, assessori e

politici coraggiosi ammazzati per aver imposto il rispetto

delle regole alla ’ndrangheta e lungo: chissa se ha mai sentito

di Ciccio Vinci, Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti,

Giannino Losardo, Luigi Silipo, Orlando Legname… E del

piu grande processo antimafia di sempre, che si fece in Calabria,

e supero “per numero di indagati, arrestati, ergastola

li inflitt” il maxi processo di Falcone e Borsellino e il processo

Spartacus, contro la camorra, ricorda Giuseppe

Trimarchi, in Calabria ribelle.

Crosetto, dobbiamo crederlo sino a prova contraria, e in

buona fede, non vede quel che c’e, ma quel che crede di

sapere e, per come parla, da per universalmente risaputo: i

mafiosi sono loro, e stanno a Sud (e il modo paranoico di

vedere il male: c’e, ma lontano da me; quindi, se li e il male,

qui, dove sto io, e il bene; se quelli sono i cattivi, noi

siamo i buoni). Per gli altri che, “presunti mafiosi”, stanno

al Nord e fanno affari, portano soldi, voti, condividono

potere, scatta il garantismo assoluto: innocenti sino a condanna

definitiva e se condannati definitivamente, bisogna

vedere da quali giudici… Un po’ come i dittatori “figli di

puttana” osteggiati dagli Stati Uniti; tranne quello alleato

degli Stati Uniti e difendibile, perche “e il nostro figlio di

puttana”. Nella testa dei Crosetto quella geografia criminale

segna una distinzione netta fra l’Italia dei delinquenti

e l’Italia degli onesti. Lo prendo a esempio di quanti coltivano,

innocentemente (forse) una idea sbagliata.

?Questa convinzione emerge pure nel linguaggio? faceva

notare il dottor Piergiorgio Morosini, romagnolo terronizzato,

giudice a Palermo, in un dibattito cui partecipammo a

Caccuri, in Calabria. “Quando si parla di infiltrazioni

mafiose” al Nord, si trasmette l’idea di un male che attacca

un corpo sano. Non e cosi: quei danarosi criminali non

solo sono troppo spesso accolti senza problemi, ma persino

invitati”.

“I soldi dei mafiosi sono serviti e servono a imprenditori

del Centro-Nord per evitare i fallimenti e sfuggire alle

strette creditizie del mondo bancario? sintetizzano in La

mafia fa schifo, il magistrato Nicola Gratteri, ritenuto il

maggior esperto di ’ndrangheta, e Antonio Nicaso, scrittore

studioso della criminalita organizzata calabrese. Non lo

sa Crosetto, che e imprenditore? “I mafiosi sono entrati

nell’economia legale, ma qualcuno ha aperto loro la porta.

Oggi la mafia e senza confini: saccheggia le regioni del Meridione

e investe in quelle settentrionali”. Se Crosetto fosse

davvero in buona fede, potrebbe dimostrarlo: da imprenditore

a imprenditore, vada a stringere la mano a

Palmi, a Gaetano Saffioti, che non cede alla mafia, che lo

perseguita da anni; ha spostato le sue attivita in Francia, in

Spagna, in Olanda e ovunque la ’ndrangheta lo ha raggiunto;

quindi si e spostato in Romania, Bulgaria, Africa,

Asia e ora lavora a Dubailand, il piu grande parco giochi

del mondo. Saprebbe far lui, nelle stesse condizioni, l’imprenditore

a quel livello? O vada da Vincenzo Restuccia,

da anni sotto attacco (circa cento attentati, danneggiamenti)

e tiene duro: non paga il ‘pizzo’.

Nel suo documentato libro, Attentato alla giustizia, Morosini

ricostruisce i patti fra organi dello Stato e mafia, dal

1860 a oggi: il primo usa la seconda, per tenere sottomesse

le genti del Sud (lo diceva gia Salvemini), sin dall’invasione

garibaldina del Regno delle Due Sicilie, scrive nella sua

autobiografia il boss italo-americano Joe Bonanno. Si apri

“la strada all’unificazione dell’Italia” racconta il boss, con

“il prezioso aiuto dei ribelli locali, molti dei quali erano

della mia stessa Tradizioni” (capisci a me…). C’era anche

suo nonno a fare l’Italia. Ma, mentre “Garibaldi voleva

creare un unico Stato nazionale” quei “ribelli siciliani lottavano

per conquistarsi una maggiore liberta nella conduzione

dei loro affari”. E la ebbero. La mafia da li trae la sua

origine, perché “come associazione e con tale denominazione,

prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia”, spiegava Rocco

Chinnici: “Nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno

d’Italia”.

E quei rapporti con organi dello Stato (“deviati” solo quando vengono

scoperti) le garantiscono privilegi, a partire da un diritto

all’impunita che soltanto una coraggiosa genia di magistrati

ha incrinato, pagando un prezzo altissimo.


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