Forse qualcuno avrà notato una nuova maglietta, semplice ma con uno slogan particolare. No, non è stata lanciata una nuova moda. Semmai si sta cercando di combatterne una vecchia: quella del Precariato
Il sogno precario
I precari appartengono alla categoria sognatori: sognano un lavoro fisso, uno stipendio adeguato, il mutuo della casa da pagare (e da poter pagare). Sognano la classica vita borghese, come nelle pubblicità. E invece… Invece lavorano tanto e guadagnano poco, non possono permettersi un mutuo. E quelli che vorrebbero poter realizzare qualche progetto, si trovano vincolati ad un lavoro di cui hanno bisogno, ma che non dà sicurezze. Dopo essere stati devoti ad un “personalissimo” santo (San Precario), i precari della facoltà di Lingue hanno deciso che è ora di cambiare.
Nasce così una maglietta che «è un grido di dolore. Quando abbiamo iniziato a lavorare eravamo entusiasti del fatto che, giovanissimi, avevamo un lavoro in una struttura pubblica. Ora ci ritroviamo non più giovanissimi con una professionalità non spendibile altrove». Spiega Agata D’Urso. Già. Quando fanno domanda a qualche concorso, il punteggio acquisito in questi anni di lavoro in un ente statale/pubblico, non sono validi a causa del tipo di contratto stipulato con l’ente in questione. Soprattutto se vengono assunti tramite una cooperativa.
Nella facoltà di Lingue si sono uniti e hanno creato il Movimento Dignità Precaria, un movimento che, anche se ancora sulla carta, vuole sollevare il problema. «A livello d’Ateneo non c’è comunicazione. Noi di Lingue non sappiamo se, per esempio, la facoltà Giurisprudenza ha del personale precario. Manca una presa di coscienza comune – afferma Enzo Ierna – A Lingue siamo uniti, la solidarietà c’è anche da parte della Facoltà stessa. Infatti entrambi i presidi, i proff. Pioletti e Famoso, hanno cercato di migliore la nostra condizione».
Non esiste una stima certa di questi lavoratori perché nel conteggio non vengono considerate le cooperative. Non c’è uniformità nemmeno nelle condizioni economiche tra le diverse facoltà. I contratti sono rimasti uguali in tutti questi anni: erano rivolti solo ad uscieri, bidelli, custodi e quindi di un livello basso. In sei anni il livello è cambiato, la professionalità e le responsabilità sono aumentate ma lo stipendio rimane immutato. Valentina D’Aquila precisa che «inizialmente il personale precario era accessorio di supporto agli strutturati; ora, invece, è diventato indispensabile e ci sono uffici ed ambiti che vengono coperti esclusivamente da personale precario». Come ad esempio l’Area Didattica, che ogni giorni risolve i problemi di centinaia di studenti. E i sindacati cosa dicono? Non dicono nulla: al personale precario non tocca nessun sindacato.
In fondo chiedono poco: un lavoro che permetta loro di vivere, il rispetto e delle condizioni lavorative decenti, avere anche dei diritti e non solo doveri. Un’altra Università è possibile senza precariato? Forse no, ma loro continuano a sognare.