Il sequestro di beni a imprenditore vicino a Messina Denaro «Società fallivano, ma banche davano prestiti senza problemi»

«Era il professionista della bancarotta, delle frodi, delle distrazioni e delle truffe». Ma il volto pubblico di Giovanni Savalle era quello dell’esperto fiscale-tributario e dell’imprenditore nel settore alberghiero e immobiliare. Per i finanzieri di Palermo, in realtà, si tratterebbe di uno dei tesorieri più importanti alle dipendenze del superlatitante Matteo Messina Denaro, ma anche di altri esponenti delle famiglie mafiose del trapanese, in generale. Colpito questa mattina da un sequestro di oltre 60 milioni di euro, alla comunicazione della notizia da parte dei finanzieri pare abbia negato ogni accusa: di essere vicino a Cosa nostra, innanzitutto. Ma era difficile che il business messo in piedi non desse, a lungo andare, nell’occhio: «Parliamo di diverse decine di milioni di euro ogni anno a livello di volumi di affari – spiega il colonnello Fabio Bottino, comandante del primo reparto del Ros. Faceva girare un’enorme quantità di soldi, a fronte di redditi di 10 o 15mila euro, dal 1985 al 2015. Ci sono anni in cui lui dichiara addirittura perdite come persona fisica e come nucleo familiare».

«È entrato a far parte di un cerchio magico – prosegue Bottino -. A un certo punto ha avuto la possibilità di dare lavoro a una serie di soggetti vicini a certi ambienti e colpiti da misure di prevenzione, come Girolamo Bellomo – spiega ancora il colonnello Bottino -. La ricchezza che viene creata viene condivisa non solo reinvestendo ma anche facendo beneficiare soggetti vicini a Cosa nostra. Un giro di affari molto alto, drogato da fatture per emissioni inesistenti». Il modus operandi era piuttosto semplice, e molto ruotava attorno alle abilità imprenditoriali di Savalle: «Aumentava fittiziamente il capitale sociale, spesso le sue società erano solo scatole vuote. Riusciva però a dimostrare in qualche modo che le sue aziende crescevano ed erano stabili in quanto a fatturato. Il progetto economico era un progetto in perdita sistemica, nasceva già in principio per svuotare la società». E quelli di Savalle erano investimenti in vari settori, da quello del calcestruzzo a quello alberghiero, sanitario e chimico.

«Un imprenditore multitasking», insomma. A innescare le indagini l’evidente sproporzione tra redditi percepiti e quelli dichiarati nell’arco di tutta la sua carriera, dagli anni ‘80 al 2014 circa. «Nel 2007 raggiunge una sperequazione di quasi 900mila euro – continuano i finanzieri -. Molte le frodi fiscali e su fondi europei, attingendo da opportunità concesse anche dal bilancio comunitario». Famiglie mafiose storiche e imprenditori di successo in affari gli sarebbero stati di riferimento. «Come imprenditore si è potuto avvalere della vicinanza di imprenditori mafiosi che sono risultati determinanti per il suo successo e lui stesso si è messo a sua volta a disposizione delle famiglie del territorio per consentire loro di manifestare la propria egemonia».

Non sono mancate le truffe alle banche: «Ha ricevuto un finanziamento da Banca Etruria grazie ad alcuni rapporti privilegiati con un membro del Cda quando già le sue aziende però erano in evidente stato di decozione – continua -. Insomma, in quelle condizioni a chiunque altro finanziamenti e prestiti sarebbero stati certamente rigettati. A lui invece no». Oltre a lucrare sui fondi pubblici, Savalle lo avrebbe fatto anche sui mutui concessi dagli istituti di credito. «Non c’erano le garanzie tali per restituire le cifre che gli venivano concesse. Era già successo in passato con un pool di banche, capofila la Bnl: un mutuo di 16mila euro mai restituito. E gli istituti non si potevano rivalere sulle società, che venivano prontamente svuotate».

Un’investigazione economico-patrimoniale, quella messa a segno contro Savalle, supportata anche dalle dichiarazioni di alcuni pentiti e dall’esame dell’esito di diversi procedimenti penali, alcuni conclusi altri ancora in corso in tutta la Sicilia. «Importante il contributo del boss calabrese Marcello Fondacaro – torna a dire il colonnello Bottino -. È lui che riferisce di una progettualità che poi non è andata in porto: quella di realizzare villaggi turistici in Calabria e a Selinunte. Cita alcuni imprenditori, tra cui proprio Savalle, che indica addirittura come quello di riferimento dell’intera organizzazione». Tra i numerosi beni sequestrati spiccano il fabbricato adibito ad albergo di lusso a Mazara del Vallo, gestito attualmente da una società che però è totalmente estranea ai fatti e che prosegue regolarmente nella sua attività, nonché alcuni conti correnti bancari, almeno un paio, trovati in Svizzera e al momento sotto indagine. Nello specifico, a finire nel mirino dei finanzieri sono stati 22 complessi aziendali, 12 pacchetti di partecipazione al capitale di altrettante società, 28 rapporti bancari (in Italia e all’estero), 47 fabbricati e otto veicoli. Mentre le società sequestrate, quelle che Savalle non ha fatto in tempo a svuotare e fare fallire, sono state affidate a un amministratore giudiziario. 


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