Il ruolo di Lele Patanè nel processo Farmacia I giudici sottolineano l’importanza del memoriale

La sua voce è arrivata nelle aule di tribunale nonostante un tumore ai polmoni che lo ha ucciso nel dicembre 2003. Eppure gli avvocati delle difese lo avevano bollato come assolutamente irrilevante e i suoi parenti non sono stati ammessi tra le parti civili perché il periodo preso in esame nel procedimento riguarda gli anni tra il 2004 e il 2007. Emanuele Patanè è il dottorando dell’ex facoltà di Farmacia di Catania autore di un memoriale riconosciuto dai giudici del primo processo sui cosiddetti laboratori dei veleni come parte della «genesi» della stessa vicenda giudiziaria. Il documento nel quale il giovane denuncia «un dannoso e ignobile smaltimento di rifiuti tossici e l’’utilizzo di sostanze e reattivi chimici potenzialmente tossici e nocivi in un edificio non idoneo a tale scopo e sprovvisto dei minimi requisiti di sicurezza» è stato acquisito tra le prove e allegato tra le motivazioni della sentenza di assoluzione degli otto imputati emessa lo scorso 17 ottobre. All’interno del documento, depositato ieri e reso pubblico oggi, sono contenute tutte le testimonianze e il materiale scientifico prodotto nel corso di un processo che ha scosso l’istituzione universitaria e tutta la città. 

I giudici del collegio – Ignazia Barbarino (presidente), Santino Mirabella e Giancarlo Cascino – hanno tenuto a sottolineare il ruolo delle dichiarazioni del giovane giarrese citandolo tra quelle acquisite nel corso del procedimento. La testimonianza postuma è stata resa possibile grazie a una perizia effettuata sul suo computer portatile che ha accertato come il file – redatto tra il 21 e il 27 ottobre 2003 – sia incontrovertibilmente autentico. Senza alcuna altra modifica dopo la sua morte, avvenuta poche settimane dopo. Il pc è stato sequestrato in realtà nel corso dell’altro procedimento legato alla vicenda, quello che dovrebbe stabilire il nesso di causalità tra le presunte violazioni ambientali e le presunte morti che si sono susseguite negli anni. Su questo secondo processo tra poco meno di due mesi il giudice Oscar Biondi dovrà pronunciarsi sull’archiviazione richiesta dall’accusa rappresentata dall’allora pubblico ministero Lucio Setola

Il memoriale è un lucido rapporto sulle condizioni nelle quali chi si studiava e lavorava nei locali del dipartimento della cittadella universitaria. «Nel laboratorio non vi è un sistema di aspirazione e filtrazione idoneo, infatti si avvertivano sempre odori sgradevoli, tossici e molto fastidiosi, spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da far ventilare l’ambiente – scriveva il dottorando – Nel laboratorio c’’erano due cappe di aspirazione antiquate che non aspiravano in modo sufficiente e adeguato. Quindi lavorare sotto le cappe di aspirazione era lo stesso che lavorare al di fuori di esse». 

E infine quell’elenco. Le persone ammalate di tumore o con gravi problemi di salute che il giovane conta e delle quali descrive ruolo nel dipartimento e patologia. Fino alla chiusura del file Emanuele Patanè ne conta otto. Maria Concetta Sarvà, entrata in coma nel maggio 2002 mentre si trovava nello stesso dipartimento e morta pochi giorni dopo. Cristian Cutrini, dottorando di due anni più grande di Patanè al quale fu diagnosticato un tumore al polmone; stessa patologia riscontrata a uno studente di Chimica e tecnologia farmaceutica. Agata Anninoammalatasi di tumore all’encefalo e morta poco tempo dopo. E poi Valeria Pittalà incinta al sesto mese di gravidanza che ha perso il bambino morto per mancata ossigenazione. A chiusura dell’elenco, altri tre malati di tumore: Annamaria Panico (docente), Adele Gubernale (direttore della biblioteca) e Alfonso Russo (collaboratore amministrativo). Dopo poche settimane perde la vita lo stesso Lele. L’ultima presunta vittima, invece, risale al 25 dicembre 2013. Giuseppina Pirracchio, ricercatrice collega di Patanè e Annino, morta per un tumore ai polmoni. 


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