«Il Re è nudo (e l’Università è in mutande)»

551 firme tra professori e ricercatori strutturati, compresi presidi di facoltà e alcuni docenti emeriti, ben oltre un terzo del totale dei docenti di ruolo dell’Università di Catania, e più di 1500 adesioni da parte degli studenti: sono i primi, brillanti, risultati della petizione “Per una nuova e condivisa riforma dell’università”, lanciata dal Coordinamento unico d’Ateneo catanese per chiedere al Ministro il ritiro del Ddl 3687, che sarà discusso e votato alla Camera la prossima settimana. Un evento unico a Catania, dove non si era mai organizzata una raccolta firme che avesse raggiunto questi numeri.

 

I dati sono stati presentati durante una conferenza stampa che si è tenuta lo scorso venerdì mattina alla facoltà di Farmacia, dove i ricercatori coinvolti nell’iniziativa hanno anche illustrato i punti fondamentali del testo che accompagna la raccolta firme: una mozione “pacata, calma, che analizza il Ddl e sviluppa gli elementi basilari di una controriforma”, come spiega il prof. Attilio Scuderi, ricercatore.

 

Scopo della conferenza stampa quello di mettere in luce l’effetto che i tagli al mondo dell’istruzione previsti dalla riforma provocheranno al Paese, e di analizzare, cifre alla mano, quanto l’università abbia già perso dal 2008 ad oggi, e quanto ancora perderà in termini economici, di investimenti e di sovvenzioni, se il Ddl Gelmini dovesse essere approvato. “La legge finanziaria del 2008 ha già tagliato del 20%, dimostrando l’intenzionalità da parte dell’attuale Governo di mettere in ginocchio un’università già vecchia, che produce pochi laureati, che offre servizi pessimi”, sostiene Scuderi, che chiarisce anche quello che si intende per “trucco contabile”: a fronte di una riduzione dei finanziamenti del 20% dal fondo di funzionamento ordinario dell’università, circa 1,5 milioni di euro, la finanziaria del ministro Tremonti stanzia per agli atenei 800 mila euro. Si tratta di un rifinanziamento che serve a coprire solo l’assetto stipendiale. “Ci ridà gli stipendi, ma taglia tutto il resto – chiosa il ricercatore – Dove sono i fondi per la ricerca, per l’innovazione, per le nuove leve della docenza e per il diritto allo studio? Come si pretende di riformare senza prevedere risorse? Questi sono tagli mascherati da riforma”.

 

I ricercatori del Coordinamento, nel testo della petizione, individuano tre punti del Ddl Gelmini da contrastare particolarmente: 1) la presenza di un CdA che gestirà gli atenei; 2) la creazione di un fondo per il diritto allo studio “senza oneri a carico dello Stato”; 3) le nuove ed esasperanti condizioni di ingresso alla docenza universitaria. “L’università sarà gestita da un CdA che avrà moltissimo potere decisionale e che sarà composto da privati e da manager, tutto sottobosco della politica che non porta contributi positivi. Se la politica vuole entrare all’università che lo dica chiaramente! È inaccettabile”. Sul fondo per il diritto allo studio il prof Scuderi non ha dubbi: “Se le borse di studio le pagheranno gli investimenti dei privati, gli atenei del Sud saranno sempre penalizzati. Dove sono le aziende nel Meridione? Chi investirà mai sul diritto allo studio?”. Le due questioni sono strettamente correlate e a soffrirne di più saranno le università del Mezzogiorno.

Particolarmente complicata la questione dell’ingresso alla docenza, che “Non deve essere un tunnel decennale. Si comincia con un contratto di ricerca a tempo determinato e si potrà aspirare ad una cattedra solo dopo 6-8 anni. Troppo tempo. I giovani, gli elementi migliori, fuggiranno all’estero. Si sta vendendo per meritocrazia una riforma che consolida le cricche e i privilegi – accusa Scuderi –  e contro la sua approvazione ci opporremo in tutte le sedi: private, pubbliche, e anche giuridiche. Noi abbiamo il dovere di difendere gli studenti, lo sviluppo, la ricerca e il benessere della società”.

 

Il prof. Scuderi lamenta anche la poca chiarezza sul testo definitivo del Ddl, fino a ieri sconosciuto, e critica il comportamento del ministro Gelmini, che vorrebbe presentare in Parlamento un provvedimento che, ancora, non ha una copertura finanziaria. Inoltre, definisce la riforma un “mostro giuridico”, sottolineando come non solo la politica si sia spaccata sulla possibilità di approvazione del disegno: “Anche la CRUI – spiega il ricercatore – sta tentennando, mentre prima si era espressa a favore. Evidentemente hanno capito che non vale la pena di vendersi per due soldi”.

 

Secondo il professor Giuseppe Forte la questione del Meridione sarebbe una manovra intenzionale del Governo, in base alla quale “il Sud deve rimanere ignorante, deve produrre meno laureati e più manodopera. E prepariamoci perché, in futuro, secondo la riforma, sarà così”. Forte illustra anche un altro problema spinoso, ovvero quello del rinnovamento della classe docente: “Da qui a 4 anni si ridurranno di più della metà le docenze. Molti professori andranno in pensione e non saranno sostituiti, quindi, con un numero di docenti minore, sempre meno studenti potranno frequentare l’università”.

 

Sul fronte della protesta dei ricercatori e dell’indisponibilità ad assumere gli insegnamenti non previsti per legge per quest’anno accademico, il professor Alessandro Pluchino ha tirato le somme, denunciando l’operato delle facoltà che hanno slittato l’inizio dei corsi scoperti al secondo semestre  per prendere tempo, sperando in un rientro della protesta. “Molti presidi hanno nascosto lo sporco sotto il tappeto. Vogliono nascondere il problema e hanno fatto partire l’anno accademico zoppicante. Se adesso gli studenti hanno subito dei disagi, al secondo semestre la situazione sarà ancora più drammatica”. Critiche anche a molti colleghi, che “hanno ceduto” ritirando l’indisponibilità: “il 20% di noi si è reso indisponibile e già abbiamo causato grossi problemi. Bastava che aderissero il 50% dei ricercatori per bloccare totalmente la didattica. La protesta avrebbe avuto molta più presa se la nostra Università fosse stata un insieme più coeso”. Pluchino conclude con un appello agli studenti, invitandoli a protestare per i loro diritti, di “andare a bussare alla porta del Rettore, di esigere i servizi per cui avete pagato le tasse. Fate sentire la vostra voce”.

 

Il Coordinamento ha annunciato che la raccolta delle firme andrà avanti ancora per qualche giorno e che la mozione definitiva sarà inviata al Magnifico, ai parlamentari e al Ministro la prossima settimana. Una nuova conferenza stampa sarà indetta a giorni per presentare i dati definitivi e per informare sui provvedimenti ufficiali del Ddl, resi noti da poco, e sul grave danno che ne subirebbe l’Università pubblica. Inoltre, sempre per la prossima settimana, sono previste numerose iniziative di mobilitazione, come ad esempio le lezioni in piazza, oltre a un grande presidio in concomitanza con la discussione alla Camera della 3687. Come spiega il professor Gianni Piazza, “Le iniziative si estendono a livello nazionale e la partecipazione è importante. È la prima volta che a mobilitarsi non sono per primi gli studenti e siamo riusciti a mettere in piedi una protesta corposa e partecipata, senza la quale, probabilmente, il Ddl sarebbe già stato approvato. Purtroppo – conclude Piazza – i media nazionali si stanno occupando poco della mobilitazione e nessuno, sul piano politico, ha fatto del ritiro della riforma una battaglia. Gran parte dell’opinione pubblica e disinteressata. La prossima settimana sarà decisiva: dobbiamo far esplodere la bomba”.

 

[edit: L’appello è stato sottoscritto da alcune centinaia di precari della ricerca e da numerosi studenti. I loro nomi verranno aggiunti alla lista non appena il coordinamento unico li avrà digitalizzati e ordinati per facoltà]


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