Il profilo di Tudisco, presunto gestore di Etna bar «Era il nostro piccione viaggiatore per la droga»

«Tutte le volte che occorreva metteva a disposizione la sua casa per i nostri summit», parola del pentito Gaetano D’Aquino. Il benefattore in questione sarebbe stato Cosimo Tudisco, conosciuto nell’ambiente della malavita catanese con l’appellativo di Cocimeddu o arancino. Balzato nei giorni scorsi sulle pagine della cronaca cittadina per essere l’uomo che avrebbe avuto in mano gli affari del noto Etna bar di via Galermo. Una gestione occulta, secondo la squadra anticrimine della polizia etnea, che si sarebbe concretizzata attraverso la società World Games srl e la complicità della giovane compagna Rosaria Lanzafame. L’ascesa del 42enne, oggi considerato dagli inquirenti un elemento della cosca dei Cappello, inizia a cavallo negli anni ’90 con un taglierino e l’irruzione dentro il Credito italiano di Siracusa. In quell’occasione Tudisco tentò di intimidire il cassiere insieme a un complice per compiere una rapina, ma venne arrestato poche ore dopo rimediando una condanna a tre anni. Le cose non gli andarono meglio nemmeno quando comincia ad andare con troppa frequenza a Milano. I suoi viaggi insospettiscono la polizia che lo arresta all’aeroporto di Fontanarossa con l’accusa di andare sotto la Madonnina per curare gli interessi della famiglia

Uno dei primi punti di riferimento del giovane Tudisco dentro l’ambiente mafioso sarebbe stato Mario Villani, detto ‘u russu. Boss dei Cursoti che venne assassinato nel dicembre 1995. Negli anni successivi sarebbe passato sotto le direttive di Gaetano D’Aquino, reggente dei Cappello ormai da alcuni anni passato a collaborare con la giustizia. «Lo utilizzavamo come supporto logistico – spiega in un verbale D’Aquino -, quando venivano i napoletani a Catania per appoggiare la droga o fare i conti economici». Tudisco per l’ex capomafia sarebbe stato «un piccione viaggiatore» per mandare i messaggi al boss Sebastiano Lo Giudice: «Gli dicevamo avvisalo che è arrivata la droga a Catania […] Noi lo ritenevamo un ragazzo pulito, quindi se dovevamo consegnare dieci chili di cocaina lo mettevamo dentro la Smart con un borsone e lui la portava» 

Per le sue mansioni il presunto gestore occulto dell’Etna bar avrebbe ricevuto, stando a quanto detto da D’Aquino, un vero e proprio stipendio. Almeno fino all’ultimo arresto, avvenuto con l’operazione Revenge del 2009, Tudisco non sarebbe stato un affiliato al clan, come puntualizza lo stesso D’Aquino in un verbale del 7 marzo del 2011. «Non era organico ma faceva parte del mio gruppo e di quello di Giuseppe Lombardo (detto ‘u ciuraru). Era uno di quelli puliti che veniva tenuto riservato e nelle nostre disponibilità». Nel processo di primo grado nato dall’inchiesta, Cocimeddu è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Tudisco negli scorsi anni sarebbe stato vicino anche ad Antonino Aurichella. Dopo l’omicidio di Sebastiano Fichera, cognato di quest’ultimo, il presunto gestore dell’Etna bar sarebbe emerso come uno dei pochi riservati sodali che avrebbero conosciuto il rifugio scelto da Aurichella come misura di protezione. «Temeva per la propria incolumità – racconta un funzionario di polizia durante un’udienza del processo Revenge del 2011 – Aveva trovato rifugio nel quartiere Loco, e Tudisco era uno dei pochi che aveva accesso. Facoltà che spesso veniva negata anche alla moglie».

Dario De Luca

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