“Il tema della prossima settimana sarà il viaggio”, ci accordiamo in redazione. E viaggio sia allora. Per cominciare esistono diversi tipi di viaggio: il viaggio a scopo educativo, il viaggio purificatore, il viaggio di lavoro, il viaggio per riscoprire se stessi e sentirsi liberi, ecc.
È proprio di quest’ultimo tipo che tratta On the road di J. Kerouac. Incrollabile manifesto della sregolata beat generation dei 70s americani e libro cult per i giovani di tutti i tempi, “Sulla strada” rappresenta il viaggio dove l’importante non è ne partire o tantomeno arrivare: ciò che conta è andare, vagare verso il nulla in cerca della propria libertà, infrangere la soffocante gabbia dei condizionamenti imposti dalla società ed evadere per sfuggire alla monotonia del reale.
Ma l’opera dello scrittore franco-canadese è anche un viaggio mentale, fatto di alcool, droghe ed allucinogeni come la benzedrina, fedele compagna durante i due giorni che Kerouac impiegò per scrivere il libro. Lo scrittore riteneva, infatti, che lo stato ideale di scrittura fosse quello del trance, poiché permetteva di fissare i pensieri sulla carta senza la mediazione della ragione (quel processo che Joyce aveva definito stream of consciousness, flusso di coscienza). Proprio per questo stile ritmico ed improvvisato che lascia sfogo a gioie e delusioni con una profondità ed un dolore quasi palpabili, la penna di Kerouac è stata paragonata ad uno strumento musicale ed il suo modo di scrivere è stato definito “jazzistico”.
La storia racconta, in quello che può essere considerato una sorta di diario autobiografico, il viaggio, fisico e “virtuale”, intrapreso da Sal e Dean (pseudonimi per lo scrittore stesso e l’amico Neal Cassady) con una scalcinata Ford lungo le highways americane per sfuggire a quel malessere generale e quel senso d’incertezza che durante gli anni ’50 serpeggiava negli States. Allora le scappatoie dei cosiddetti “beatnik” erano le droghe, il sesso libero, le filosofie orientali, i valori dell’amicizia e della solidarietà.
L’autore di On the road espresse perfettamente in un libro incredibilmente vivido e, allo stesso tempo fortemente crudo e schietto, tale inquietudine e le sue inevitabili vie d’evasione.
Mi piacerebbe concludere con una frase tratta da una lettera che Kerouac scrisse all’amico Cassady e che, a mio modo di vedere, racchiude un po’ il senso di tutta l’opera:
“Come è strano essere lontani da “casa”
quando la distanza è un intero continente
e non sai neanche più dove sia la casa tua
e la “casa” che ti resta è quella che hai in testa.”
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