Nel parco dell'Etna ci sono distese di querce salvate dalla speculazione edilizia ma diventate una discarica. Ora le associazioni hanno un progetto per restituirlo alla collettività. «La confisca è il primo passo: l'obiettivo è il riuso sociale». Guarda il video
Il primo bosco confiscato alla mafia diventa d’incanto Un villaggio solidale nel quartiere tolto al clan Zuccaro
Nel parco dell’Etna, a Pedara, c’è il primo bosco tolto alla mafia. Un grande terreno pieno di querce nate su una colata lavica che, solo grazie alla confisca avvenuta all’inizio degli anni Novanta, è stato salvato da un’operazione di speculazione edilizia. Adesso, una rete di associazioni vuole trasformarlo in un Bosco d’incanto e restituirlo così alla collettività. Per farlo I Siciliani Giovani, Arci Catania, il circolo etneo di Legambiente e l’associazione Spazio Oscena hanno presentato un progetto per il primo bando dell’agenzia dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Lo stesso in cui rientra il piano per trasformare il quartier generale che fu del clan Zuccaro a Gravina di Catania in Caracol – Villaggio solidale.
I due boschi, separati da una strada secondaria – via Cozzarelle – nella zona Tarderia di Pedara, in pieno parco dell’Etna, sono stati
sequestrati oltre trenta anni fa alla famiglia Buscema. Imprenditori edili, finiti nelle maglie del clan Laudani, che avrebbero devastato quel tratto di macchia mediterranea con una enorme colata di cemento per edificare delle villette. Adesso, è diventata una discarica abusiva a cielo aperto: la carcassa di un’auto, un divano, un albero di natale bianco di plastica e sacchetti pieni di rifiuti di ogni tipo. «La cosa da cui partire è la bonifica e la pulizia di questo luogo», spiega a MeridioNews Matteo Iannitti de I Siciliani Giovani. «Dopo il riscatto di averlo tolto alla mafia, adesso bisogna riscattarlo anche dal punto di vista ambientale», aggiunge Eliana Seminara di Legambiente.
Per trasformarlo nel
Bosco d’incanto, il progetto prevede percorsi naturalistici con passerelle micro-invasive (costruite con materiali di riuso eco-sostenibili) per consentire di accedere all’area boschiva anche a persone con mobilità ridotta. Tra le querce e i massi di pietra lavica, gli attivisti hanno anche già immaginato «attività educative e di formazione ambientale, scambi culturali e progetti di volontariato europeo, performance artistiche e musicali compatibili con l’ecosistema». Un luogo aperto alle visite scolastiche, ai laboratori artistici (musicali, teatrali, figurativi), alle case di cura e agli enti di assistenza per percorsi in natura ed escursioni guidate.
Per il
compound in cui l’ha fatta da padrone lo strapotere mafioso del sanguinario boss ergastolano Maurizio Zuccaro, il piano è di farne un Villaggio solidale che si chiamerà Caracol. Nome preso in prestito dai luoghi di organizzazione e incontro nelle comunità autonome zapatiste. Gran parte del quartiere risulta essere stato costruito abusivamente, ma per una delle case il progetto presentato all’Agenzia dalle associazioni (I Siciliani Giovani, Arci, Asaec antiestorsione, Cope e Oltrefrontiere) prevede di farne «un luogo per tutti e per tutte perché – sottolinea Nicola Grassi di Asaec – con la confisca non si è raggiunto l’obiettivo. Il percorso di liberazione dalle mafie deve finire con il riutilizzo sociale». Uno degli immobili in via Filippo Corridoni potrebbe diventare un luogo in cui portare avanti attività educative, formative, culturali, di inclusione sociale, percorsi di turismo solidale e laboratori per le scuole. Nel progetto c’è anche l’idea di realizzare una biblioteca e videoteca della memoria e anche una sala prove e di registrazione musicale.
«Quando abbiamo cominciato a interessarci a questo bene confiscato – ricorda Iannitti – i proprietari, che ne avevano ancora la disponibilità, hanno iniziato a
vandalizzarlo e razziarlo». Citofono e cassetta della posta rotti, i putti sul cancello d’ingresso scomparsi e delle scritte intimidatorie apparse sui muri. Durante i primi sopralluoghi, è stata evidente la presenza di chi in quelle villette non avrebbe più dovuto metterci piede almeno dal 2017, l’anno della confisca definitiva. E, invece, è nella casa che dà sulla piscina che è stato ritrovato un pacco di Amazon (al cui interno pare ci fossero un paio di scarpe per Filippo Zuccaro, meglio conosciuto nel mondo neomelodico con il nome d’arte di Andrea Zeta) e, in un altro locale, una mascherina con la scritta Andrà tutto bene. «Anche in un momento in cui il mondo è oppresso dal Covid – sottolinea Dario Pruiti dell’Arci – siamo riusciti a porre l’accento sull’annosa questione dei beni confiscati alla criminalità organizzata e a immaginare di dare loro una nuova vita».