La giornata di ieri ha visto scendere in campo i big delle principali coalizioni per iniziare a lanciare la rincorsa dei propri candidati a Palazzo d'Orleans. Inevitabilmente i riferimenti a ciò che significherà per l'Italia il risultato del 5 novembre e all'immagine dell'Isola come laboratorio politico dove compiere sperimentazioni
Il peso del voto in Sicilia in vista delle Politiche Renzi: «Non è un test». Miccichè: «Sì che conta»
Qui si fa l’Italia o si muore? Forse il modo migliore per inquadrare questo inizio di campagna elettorale per le Regionali è trasformare in quesito la frase attribuita dal patriota Giuseppe Cesare Abba a Garibaldi. Sullo sfondo, però, non c’è la battaglia di Calatafimi ma il verdetto che verrà fuori dalle urne la notte del 5 novembre. Quando si saprà il nome di colui che avrà il compito di guidare l’Isola per i prossimi cinque anni.
Tradizione vuole che il voto in Sicilia sia speciale, che abbia significati accessori, valenze multiple. Quella dell’Isola laboratorio politico è un’immagine che, nel corso degli anni, è ricorsa spesso tra addetti ai lavori, esperti e non. E in effetti a guardare i risultati delle Regionali e quelli delle Politiche svoltesi dal Duemila in poi – con l’eccezione del 2006, quando in Sicilia ottenne la riconferma Totò Cuffaro mentre al governo nazionale arrivò L’Unione di Romano Prodi – la correlazione è evidente, così come simili sono state le strategie messe in campo dai partiti.
Stavolta, tuttavia, i pensieri sulla valenza del test regionale in ottica nazionale sono più che mai discordanti. A dimostrarlo è stata la giornata di ieri, che ha visto i principali esponenti delle coalizioni in campo smentirsi a distanza.
A Taormina, è stato il segretario nazionale del Partito democratico, Matteo Renzi, a ribadire che «i siciliani non possono essere considerati delle cavie» alle quali proporre soluzioni eventualmente da estendere su larga scala. «Tutto ciò che accade in Sicilia è importante per l’Italia, ma non c’è uno stress test, il voto non è un sondaggio per le nazionali», ha detto l’ex premier. Per spiegare il proprio convincimento, Renzi si è rivolto ai siciliani invogliandoli a risolvere i problemi dell’Isola e fare in modo di ridurre il gap con il Nord «che è ancora troppo forte». Ma è chiaro che nel sottotesto del discorso di presentazione della candidatura di Fabrizio Micari c’è anche la consapevolezza delle difficoltà che attendono il centrosinistra dopo i governi Crocetta. Cinque anni che hanno convinto pochi, al punto che, fino a poche settimane fa, per molti la condizione imprescindibile per ripartire era quella di prendere le distanze dal presidente uscente. Oggi le cose sono diverse e Crocetta fa parte della squadra, ma con un ruolo secondario. «L’ho ringraziato per il passo indietro. La nostra proposta se è alternativa? Micari è l’unica novità di questa campagna», ha risposto a MeridioNews il segretario del Pd.
Di tutt’altro avviso, e il perché non è difficile immaginarlo, è Gianfranco Miccichè. Il commissario per la Sicilia di Forza Italia, che dopo settimane di perplessità ha sposato la candidatura di Nello Musumeci, proprio dalla Toscana di Renzi ha detto: «La Sicilia è un test nazionale? Credo di sì. E alla fine il centrodestra vincerà le elezioni». Senza specificare se il riferimento andasse alle Regionali o anche alle Politiche. Forza Italia, d’altronde, ai prossimi due appuntamenti elettorali arriverà da opposizione uscente con la possibilità di giocare all’attacco puntando il dito contro gli insuccessi dei governi uscenti.
La giornata di ieri ha registrato anche l’attacco del candidato della sinistra, Claudio Fava, al sottosegretario Giuseppe Castiglione, che in Sicilia continuerà a essere alleato del Pd. «Castiglione si chiede dove fosse Fava mentre lui si occupava alacremente di immigrati al Cara di Mineo. Confesso: non ero accanto a Castiglione. Di lui e del Cara però mi occupavo, alacremente. Con la commissione antimafia», ha detto facendo riferimento alle indagini che interessano il centro di accoglienza del Calatino. Per poi rincarare la dose: «Da Castiglione e dai suoi ci si aspetterebbe un contrito silenzio in attesa di spiegare, non a me ma ai giudici, le loro ragioni. Invece – ha continuato il parlamentare – alzano la voce, protestano. E accusano. Qualcuno fatica ancora a capire perché in Sicilia non stiamo a braccetto di Alfano e dei suoi proconsoli: ascolti le parole Castiglione, poi ne riparliamo».
Fuori dal fuoco incrociato rimane per il momento il Movimento 5 stelle, che ha assicurato di annunciare a breve il nome dell’assessore designato all’Agricoltura e al contempo di avere ricevuto tanti contatti da giovani siciliani all’estero, che avrebbero ammesso di confidare nel partito di Grillo per un futuro ritorno nell’Isola. Un ottimismo che Cancelleri e soci contano di portare con sé fino al 5 novembre, convinti di potere fare della Sicilia la prima regione a cinque stelle. Per poi lanciare la sfida all’Italia intera. Perché, d’altronde, se una cosa funziona in Sicilia…