Il paradosso di Muccino

All’inizio del mio trasferimento nel borgo della Sicilia Orientale dove vivo, i miei amici di
città si figuravano la mia vita ambientata in un luogo ameno tipo Contea degli Hobbit nella
Terra di Mezzo: praticamente un luogo fuori dal tempo e dunque fuori dal mondo, dove
arrivi percorrendo l’autostrada fino a un certo punto, dopodiché imbocchi un buco nero
di Hawking e sei dentro questa realtà parallela. 

Negli anni, il mio lavoro di divulgatrice delle
arre iblee mi ha messo spesso davanti al
paradosso di Muccino, definizione nata a seguito di un
fatto che, se non fosse coinciso con il perdurare dell’emergenza pandemica, lo avremmo
potuto meglio comprendere in tutta la sua drammaticità: lo spot sulla Calabria, diretto da
Gabriele Muccino e interpretato da Raoul Bova e Rocìo Muñoz Morales, presentato a ottobre del 2020 e costato un milione e 700mila euro di soldi pubblici. Un prodotto di promozione
territoriale dove tre quarti dei calabresi dell’entroterra si vestono ancora come negli anni cinquanta del ‘900 e la percentuale restante della popolazione usa come mezzo di locomozione
l’asino. Secondo il suddetto paradosso, tutto ciò che sta a Sud di una certa soglia del mondo
– ma comunque meno a Sud dell’Africa Subsahariana – si sottrae a qualsiasi legge spazio-temporale, in un contesto cronologico fermo a poco dopo la Seconda Guerra mondiale ma
comunque a poco prima del Muro di Berlino, degli anni di Piombo, del Vietnam, del
Kosovo, di Giò di Tonno e Lola Ponce che vincono Sanremo. 

Il paradosso di Muccino è altresì conosciuto come slow living, un’espressione inglese
contemporanea per giustificare la cristallizzazione della narrazione dei paesi del Sud
dell’Italia in non-luoghi che vivono in un
non-tempo, ma in maniera cool. O, ancora, luoghi senza
tempo: definizione utilizzata per attrarre i turisti e, contestualmente, allontanare le nuove
generazioni autoctone facendole sentire ai margini del nostro presente, ottenendo dalla loro
dipartita spazio da occupare per i turisti stessi.
Io scrivo da Palazzolo Acreide, Comune di poco più di 8mila abitanti che non sta
nell’entroterra della Calabria ma in provincia di Siracusa. Dista esattamente 3212,6 chilometri da
Kiev; 3867,4 chilometri da Mosca e una distanza incalcolabile per Google Maps da Washington
DC. Secondo il paradosso Muccino, sommando alle distanze lo scarto temporale tra i borghi
dell’entroterra e il resto del mondo, qui la minaccia di una Terza Guerra Mondiale si
presenterà tra non meno di 72 anni o forse mai.
In verità, grazie a Palazzolo Acreide, possiamo confutare il paradosso Muccino dimostrando la
grande attualità di un luogo come questo rispetto al contesto storico, un primato che va
avanti da oltre 2685 anni ovvero da quando i corinzi- siracusani, dalla costa, hanno deciso
di stabilirsi qui nel VI secolo a.C. 

Mentre si inerpicavano per terreni scoscesi di pietra
calcarea
, si sono trovati circondati da terre ridenti e ricche fonti d’acqua, un bengodi che ha
fatto venire loro una gran voglia di futuro per cui hanno deciso di stanziarsi qui e hanno
chiamato la nuova polis Akrai che vuol dire “cima, picco”, perché su una cima si trovavano;
praticamente la più celere operazione di naming mai più eguagliata nella storia dei
brainstorming

Tutte le dominazioni approdate in Sicilia, hanno fatto tappa qui, contribuendo
a una customer satisfaction del 100 per cento, costruita nel corso dei secoli.
Palazzolo è così pertinente
al contesto che nemmeno i bombardamenti alleati della Seconda Guerra mondiale l’hanno
risparmiato ma dove era il campo militare dell’esercito di stanza a Palazzolo Acreide
(cinquecento metri più in basso dalle vestigia di Akrai) lì, oggi sorge un parco giochi per
bambini, a memoria del fatto che anche le cose terribili sono destinate a finire. Tuttavia, se
il paradosso di Muccino fosse vero, il parco giochi non sarebbe mai esistito e qui sarebbe ancora tutta campagna e macerie. Lo dico perché a dispetto dell’apparente impenetrabilità
di questi territori da parte dei fatti della Storia: quelli trovano comunque il modo di arrivare
fino a qui. 

Perciò, davanti alla minaccia di una guerra mondiale termo-nucleare, sarebbe ora
di avviare una riflessone seria declinata al tempo futuro. Anche da qui, la vista sul mondo
a venire non è poi così serena.


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