Il pm Nino Di Matteo, intervistato da La Repubblica, commenta la decisione del Consiglio superiore della magistratura che ha bocciato la sua domanda al concorso per la copertura di tre posti alla procura nazionale antimafia. «Amareggiato, perché non sono stati sufficienti più di 20 anni di lavoro dedicati ai processi di mafia a Caltanissetta e a Palermo – continua – Deluso, perché nella relazione della commissione che ha indicato gli altri colleghi non ho rintracciato nessuna censura critica al mio operato. Mi chiedo perché non sia stata valutata un’anzianità che è pari al doppio degli altri. Sono preoccupato non solo per me, ma perché questo è un altro piccolo segnale di un problema più grande. Quale? Tra i criteri del Csm continua a incidere pesantemente la logica dell’appartenenza correntizia. Il primo criterio è a quale corrente appartieni. E chi, come me e tanti altri, non appartiene a nessuna corrente, e anzi osa criticare la patologia del sistema, vede bocciata ogni aspirazione».
«Sono un uomo delle istituzioni – continua Di Matteo – e proprio perché ho profondo rispetto per l’istituzione Csm farò ricorso al Tar. Perché voglio lasciare Palermo durante un processo così delicato? Non è vero che voglio scappare dal processo, né tantomeno da Palermo. La nomina alla Direzione nazionale antimafia mi avrebbe consentito di continuare a occuparmi di mafia, di stragi, dei mandanti esterni e anche di essere applicato al processo in corso, continuando il mio lavoro come ho sempre fatto. Nonostante tutto, e nonostante tanti. Altro che scappare…».
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