Il mea culpa del Fmi: l’austerity sbagliata ha rovinato l’Europa. E ora chi paga?

Scusate il disturbo.

Pochi giorni fa, il Presidente del Consiglio, Letta, ha comunicato la nomina dei “saggi” che dovrebbero aiutare la Commissione Bicamerale ad aiutare il Parlamento a fare le riforme istituzionali per aiutare gli italiani in questo difficile momento (chissà perché durante il governo Monti durante un governo tecnico e senza alcun aiuto, nessuno ha avuto niente da obiettare che si modificassero non uno, ma ben tre articoli della Costituzione). Pochi, però, hanno notato che il gruppo di esperti, quasi tutti professori universitari di chiara fama, non è stato definito gruppo dei “dotti” o gruppo dei “sapienti” o almeno gruppo dei “conoscitori della materia”.

Sono stati definiti gruppo dei “saggi“, come se il motivo che aveva portato il capo del governo a sceglierli non fosse la loro preparazione accademica, comprovata da anni di esperienza nel settore e da una quantità di pubblicazioni che basterebbe a riempire molti scaffali di una libreria, ma la loro “saggezza”.
A ben guardare, la scelta del Presidente del Consiglio non è stata azzardata, specie dopo ciò che è avvenuto nelle scorse settimane e che continuerà ad avere inevitabili strascichi e conseguenze per molti anni a venire.

Nelle scorse settimane è venuto alla luce che la teoria sulle politiche di austerity proposta da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, due dei maggiori esperti, dotti conoscitori della materia e professori presso una delle più autorevoli e blasonate università al mondo, Harvard, era sbagliata. Che le teorie, a volte, anzi spesso, trovino degli oppositori non è certo una novità.
Ciò che ha fatto crollare le teorie di Reinhart e Rogoff è qualcosa di diverso. Come ha dimostrato Thomas Herndon, un semplice ricercatore, mentre preparava la sua tesi di dottorato alla University of Massachussetts di Amherst, una semplice università come molte altre, il motivo per cui la teoria dei due sarebbe sbagliata e non di poco, deriverebbe dal fatto che i due blasonati ed emeriti professori semplicemente avrebbero dimenticato di includere nel calcolo i dati da loro stessi riportati su un foglio di calcolo (MS Excel). Così facendo, avevano dimenticato di prendere in considerazione dati economici rivelatisi poi fondamentali.
Il problema non è neanche che dei “saggi” e blasonati “esperti” della materia avevano basato la propria teoria su dati sbagliati. E nemmeno che i due, pur non avendo trovato riscontro pratico e conferma della loro tesi sui casi teorici proposti (tra cui ad esempio l’Australia), avevano continuato a sostenere le proprie tesi a spada tratta.

Il punto è che Rogoff, il quale, tra l’altro, ha collaborato con il Fondo Monetario Internazionale e con la Federal Reserve, ha pubblicato, insieme alla collega, una ricerca dal titolo “Growth in a Time of Debt”. Lo studio pubblicato avrebbe dovuto fornire la “prova scientifica” del fatto che, se il debito pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un ostacolo insuperabile alla crescita. 
Il vero problema è che tutti, organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea, banche, istituti finanziari e governi, tra cui quello italiano (in quel momento guidato da un altro grande professore universitario, esperto di fama internazionale e “tecnico”, Mario Monti), tutti hanno basato le proprie scelte politiche e le proprie decisioni sulla teoria di Reinhart e Rogoff. E lo hanno fatto senza fare alcuna verifica, senza valutare gli effetti che una simile decisione avrebbe avuto e senza ascoltare le grida di allarme levate all’unisono da quasi tutti gli scienziati del mondo.
In molti, infatti, sin dal primo momento, avevano fatto notare che scelte basate su politiche di austerity selvaggia, come quelle imposte a Grecia e Cipro direttamente e a molti altri Paesi europei, prima fra tutti l’Italia, indirettamente, avrebbero prodotto effetti negativi e danni forse irreparabili. Eppure, nessuno dei governanti e degli esemplari di HOMO POLITICUS SCIENZIATUS, forse perché distratti e troppo occupati nell’organizzare o nel partecipare a riunioni del gruppo Bilderberg o della commissione Trilaterale o dell’Aspen Institute, nessuno di loro ha pensato, neanche per un momento, che ciò che stava facendo era deleterio per l’economia di un intero continente e che i propri errori avrebbero causato una spirale recessiva senza eguali nella storia dell’Europa.
Sì perché, a ben vedere, nessuna nazione si è salvata dalla crisi generata dalle politiche di austerity, nemmeno la Francia o la Gran Bretagna o la Germania. E a provarlo non sono le tesi di professoroni e dotti saggi, ma i dati sul PIL del primo trimestre 2013. Come dimostra uno studio pubblicato nei giorni scorsi su Milano Finanza, tutti i Paesi europei sono in recessione e l’economia europea, nel suo insieme, è in stallo.

Forse sarà dopo aver visto questi numeri, che, finalmente, il Fondo Monetario Internazionale, ha trasmesso, nei giorni scorsi, un rapporto nel quale riconosceva i propri errori circa le politiche di austerity imposte a Paesi come la Grecia, e ha fatto mea culpa. Ovviamente, nessuno di quei “tecnici” che non ha fatto il proprio lavoro e si è limitato a scopiazzare teorie e previsioni basate su dati sbagliati, ha ammesso pubblicamente il proprio errore: il fatto che le politiche adottate hanno sortito un effetto opposto a quello che almeno in teoria avrebbero dovuto avere è stato fatto girare in un documento riservato. Ovviamente nessuno ha proferito parola sul fatto che le politiche di austerity imposte e gli aiuti concessi per volontà della stessa Lagarde (ascesa ai vertici del FMI dopo lo scandalo, rivelatosi poi un bluff, che portò alle improvvise dimissioni di Dominique Strauss-Kahn) sono costati, al solo FMI, molti, anzi moltissimi, miliardi di dollari.

Perché, in realtà, è questo il vero scandalo: tecnici, politici, amministratori e “esperti” e alcuni tra i più grandi istituti bancari e organizzazioni mondiali ed europei, non hanno saputo fare il proprio lavoro e, con il loro errore, hanno generato una crisi economica di dimensioni mondiali che ha prodotto danni incalcolabili e che avrà ripercussioni per decenni.

Un altro dato che non è specificato nel rapporto riservato del FMI è chi dovrà pagherà per questo errore. Di sicuro non pagheranno i tecnici né gli esperti. Loro hanno dato prova di essere “saggi” e di essere riusciti, nonostante tutto, (come riportato nel famoso rapporto confidenziale, rivelato dal Wall Street Journal) a “dare il tempo all’eurozona di reagire alla crisi aggravata”, se non causata dai loro errori. Ma, come spesso accade in casi come questo, basta scaricare la colpa su qualcun altro. E allora, il FMI, nel dire che è stato commesso un errore, ha tenuto a specificare che la colpa più grande sarebbe della Commissione Europea che non aveva esperienza nella gestione delle crisi e che era troppo preoccupata a far rispettare le norme UE piuttosto che concentrarsi sulla crescita.
Immediata ovviamente la reazione dei tecnici e degli esperti di Bruxelles, i quali “in disaccordo” con il rapporto hanno incolpato il Fondo Monetario Internazionale di ignorare “la natura interconnessa del sistema euro” e hanno ricordato che il programma di risanamento della Grecia era condiviso da tutti i membri della Troika (cioè anche dal Fondo Monetario Internazionale) e da tutti gli Stati dell’UE e senza riserve.
Ovviamente non poteva mancare, in una simile querelle, il parere di Mario Draghi, il quale avrebbe giustificato l’ammissione di errori pronunciata dal FMI, dicendo che “sono spesso errori di proiezione storica” e aggiungendo ironicamente che “una cosa buona di questo documento del Fondo è che questa volta non viene criticata la Banca Centrale Europea”.

Anche Sharon Bowles, presidente della commissione economico-finanziaria del Parlamento europeo non ha rinunciato ad esprimere la propria opinione, affermando che è “cosa buona e giusta che il FMI ammetta gli errori fatti, ma la vera domanda è se la lezione sia stata capita”.

In effetti, tra tutti i commenti fatti su questo pasticcio, forse, la cosa più importante su cui riflettere è proprio questa: quando capiranno i cittadini europei (e gli italiani) che i tecnici, i burocrati e la stragrande maggioranza di quelli che hanno causato e continuano a causare danni all’economia di un intero continente non stanno facendo il bene dell’Europa e degli europei? E che dopo aver prodotto i danni che hanno prodotto si limiteranno a dire: “Scusate il disturbo”?

Forse sarebbe il caso che gli italiani dimostrassero diventassero un po’ più “saggi” e la smettessero di fidarsi dei saggi scritti dagli altri.


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