Essere prostituta è ancora, per la nostra cultura, una colpa maggiore dello sfruttamento della prostituzione. Se ne è parlato ieri in un incontro sul libro «Il mio nome non è Wendy»
Il luogo comune del «mestiere più antico»
Per ricostruire la propria identità si riparte dalla negazione: Il mio nome non è Wendy, è il racconto di una giovane donna nigeriana che dallAfrica arriva in Italia in cerca di riscatto dalla povertà del suo paese, ritrovandosi vittima del mercato della prostituzione, che viene scritto e interpretato da Paola Monzini, ricercatrice e storica.
«Ho collaborato con le Nazioni Unite, magistrati, conobbi la tratta che porta le nigeriane in Italia da molte angolazioni, nacque un saggio a cui, però, mancava una testimonianza diretta. Wendy cercava qualcuno che desse voce alla sua storia mai raccontata»; cosi descrive Paola Monzini linput del libro, nel convegno tenuto mercoledì al Monastero dei Benedettini, a cui ha preso parte Emanuela Abbatecola, sociologa dellUniversità di Genova che ci invita a riflettere sulla posizione determinante del cosiddetto cliente, che nonostante si nasconda dietro la neutralità e genericità del termine stesso, è soggetto determinante della richiesta che crea il mercato.
È paradossalmente il senso di colpa ad accompagnare queste donne vittime di una realtà imposta loro malgrado, riflette Pina Mendorla, professoressa della facoltà di Lettere intervenuta anchessa alla tavola rotonda sul mercato globale della prostituzione.
La violenza inflitta sia psicologicamente che fisicamente trova poi nello status di prostituta, aggiunto a quello di extra-comunitaria, se non una ragione dessere, almeno una gravità minore: «a volte sono proprio uomini delle forze dellordine a chiedere prestazioni gratuite, piuttosto che difendere e salvaguardare i diritti violati di queste donne».
Il libro è anche la denuncia di una realtà tollerata, che trova il suo disequilibrio fra il lecito e lillecito: decoro, sicurezza, ordine pubblico, intento ad una scarsa visibilità è ciò che ancora oggi muove il pensiero e lazione della nostra società davanti al fenomeno, che riguarda per il 50% circa giovani donne straniere, ingannate dalla falsa propaganda di una vita migliore, ritrovatesi debitrici di un sogno verso il Caronte-protettore, costrette a prostituirsi in virtù del debito.
È il difetto linguistico, la valenza dispregiativa che individua nel termine prostituta e nelle sue molteplici declinazioni volgari, il massimo peccato: ciò che non si deve essere, contrapposto a ciò che non si deve fare: il protettore. Parliamo ancora di una società che fonda le sue radici sullo sfruttamento del debole, eppure è anche grazie a due uomini, personaggi nel libro, che Wendy oggi è laureata e denuncia la sua storia. «Il libro è bello per linterpretazione, luso del presente per dare realtà al personaggio, e la cura con cui la scrittrice si rapporta alla fonte», dice Luciano Granozzi, delegato ai Circuiti Culturali e coordinatore del convegno insieme a Rita Palidda, presidente del Comitato per le Pari Opportunità, a cui si affianca la voce di Amnesty Catania per sostenere e denunciare e chiedere risorse di cittadinanza dal paese di origine ma anche dal nostro paese; perché non si resti ancorati alla giustificazione data dal luogo comune del mestiere più antico del mondo.