Il ludico e il magico: mostra di artigianato tradizionale giapponese

Giovedì 18 Gennaio a Ragusa Ibla è stata inaugurata la mostra di giocattoli e amuleti del Giappone tradizionale, dal titolo “Il Ludico e il Magico”. L’inaugurazione è stata preceduta da una conferenza che ha visto la partecipazione dei docenti di Giapponese della nostra Facoltà, Paolo Villani e Luca Capponcelli. La professoressa Simona Laudani, ha portato i saluti del Prorettore, del Preside e del Presidente dell’area didattica di Ragusa. Molto significativi gli interventi del professore Adolfo Tamburello, de “L’Orientale” di Napoli, che ha parlato sul tema “Il Giappone e il recupero delle tradizioni attraverso la storia”, e del professore Davide Torsello, dell’Università di Bergamo, che ha relazionato su “Il gioco, la collezione e il culto con l’apporto di un approccio antropologico agli omocha giapponesi”. Non meno importante la presentazione della collezione di artigianato tradizionale giapponese curata dalla dottoressa Melinda Pappova dell’Associazione di Antropologia Culturale Medius Terrae. E’ doveroso ricordare che la mostra, itinerante, ha come punto di partenza proprio Ragusa e la nostra facoltà: è inoltre importante precisare che gli oggetti della mostra sono esemplari originali giapponesi raccolti nel corso degli anni, durante le varie esperienze di studio e di ricerca del professore Torsello. Una delle motivazioni più intrinseche nella realizzazione di questa mostra è stato, da parte dell’associazione Medius Terrae, il desiderio di recuperare i colori semplici, l’estetica raffinata, la sobrietà e la moderazione impresse in tutti gli oggetti di arte popolare, e inoltre la voglia di avvicinare il nostro paese alla cultura giapponese. A tal proposito è stata molto utile la puntualizzazione del professor Tamburello, che ha parlato molto a proposito dell’immagine stereotipata che si ha nei confronti del mondo e della cultura giapponese. Per capire meglio, dobbiamo provare ad immaginare il Giappone di inizio Ottocento, ovvero al momento della sua primissima apertura verso l’Occidente. L’immagine che la cultura occidentale aveva nei confronti del Giappone e del popolo giapponese, soprattutto, era quella di un popolo pagano, dedito a feste, le matsuri, a conclusione delle quali inevitabilmente si arrivava a delle partecipazioni orgiastiche. Alcuni giapponesi, col tempo e a contatto con la cultura americana ed europea, iniziarono a sentire il bisogno di liberarsi di questo loro passato “pagano”, decidendo, dunque, di mettere all’asta oggetti tipici a poco prezzo. Noi dobbiamo dire grazie a tutti coloro che non subirono questo contagio in maniera devastante, poiché proprio grazie a questi ultimi possiamo conoscere questa cultura anche a livello materiale. Il professore Torsello, oltre ad informazioni accuratamente dettagliate sugli oggetti da lui raccolti, si è soffermato sul concetto di ludico riferito al giocattolo in sé. Affermazione che ha un significato molto più profondo, rispetto a quello ovvio di “giocattolo” inteso come oggetto destinato propriamente al “gioco”. Gli oggetti esposti portano con loro una storia, una tradizione, che va letta attraverso i materiali, i colori, le forme, i loro usi originari e il loro significato più intimo. Parliamo, infatti, di miniature che ritraggono animali in genere, persone, come ad esempio samurai e draghi. Una particolarità interessante è che, in base ai materiali utilizzati dai vari artigiani, le persone giapponesi riescono a risalire alla provenienza locale dell’oggetto, poiché si tratta di artigianato locale. Attraverso questi oggetti, all’apparenza semplici, si riesce a recuperare la tradizione giapponese più antica, ovvero quella derivante dalle comunità rurali, quando ancora il Giappone non aveva subito l’influenza della cultura occidentale. L’avvento del collezionismo, con gli anni, ha deturpato questi oggetti, divenuti di massa, ma è anche vero che senza il collezionismo questi oggetti sarebbero sicuramente andati perduti. La mostra è stata allestita seguendo un ordine particolare, cioè tenendo conto del materiale con cui sono stati realizzati gli oggetti: in prevalenza con carta, legno, terracotta, cartapesta e paglia; dell’utilità, distinguendo oggetti propriamente ludici privi di alcun richiamo all’aspetto religioso, oggetti votivi e oggetti della fantasia popolare. All’interno del museo si trova anche una sezione dedicata alle KOKESHI, bambole della tradizione giapponese rappresentate senza arti, oggetti semplici, senza molti elementi decorativi poiché si tendeva a conservare molto di più il materiale naturale. Infine, alla mostra si trovano delle bambole, che indossano il famoso kimono giapponese, le cosiddette hina-ningyou, che vengono regalate alle bambine giapponesi in occasione della hina-matsuri (festa delle bambine) il 3 Marzo. Durante l’incontro di presentazione, il professor Capponcelli si è soffermato sul ludico nella poesia Waka. I Waka non sono altro che delle poesie giapponesi che venivano composte e recitate al fine di interagire con dei fenomeni soprannaturali, magari cercando di placarne l’effetto, e per questo divenute importanti nel repertorio culturale e letterario giapponese. L’approfondimento sulla poesia Waka è stata fornita in riferimento all’Uta-karuta, un gioco di carte giapponese che inizia con lo schieramento di alcune carte, le quali contengono un verso di una poesia Waka. Lo scopo del gioco consiste nella recitazione di un primo verso della poesia da parte di un giocatore mentre gli altri partecipanti devono avere riflessi pronti e una conoscenza abbastanza approfondita del Waka in questione, in modo da individuare immediatamente, selezionando la carta, il seguito del verso. Proprio per via di questo gioco, appartenente alla tradizione antica giapponese, possiamo dire che la parola ludico è fortemente correlata col concetto di magico, così come gli oggetti materiali. Durante l’intera giornata si è avuta una cospicua partecipazione, non solo da parte di studenti di lingua giapponese, ma anche da parte di docenti e studenti che sono stati attirati da questo profumo d’Oriente a cui non hanno saputo rinunciare.

Cinzia Billeci

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