Il futuro? Innovazione, non conservazione

«Qui discutiamo della sopravvivenza non dei giornali, ma del giornalismo. Dalla carta alla rete il giornalismo non cambia, piuttosto trova altre forme, si arricchisce, si potenzia», queste le parole di Vittorio Zambardino, giornalista de La Repubblica, parlando del pericolo che corrono la rete e il giornalismo, durante l’incontro su informazione e innovazione della seconda giornata del Festival internazionale di giornalismo a Perugia. Voglia di sperimentare, positiva adrenalina e tante idee hanno animato il dibattito in sala. Parole rivolte ai giovani giornalisti, parole di incoraggiamento a fare meglio, fare di più per il futuro dell’informazione. «Puntare sul web non è affatto una ritirata senza meta», commenta ancora Zambardino che aggiunge: «i giornali di carta non spariranno». E’ infatti ricorrente il timore che la carta stampata scada nell’irrilevanza riducendosi a mera «opera lirica del giornalismo», venendo surclassata dalla rete, eppure «il giornalismo che nelle sue espressioni sindacali parla di protezionismo non guarda al futuro» polemizza Zambardino. 

 

Un giornalismo capace di rinnovare nelle forme, di reinventarsi coniugando potenzialità di carta e rete, questa la formula proposta dal cronista di Repubblica che, alla domanda “come salvare il giornalismo?” risponde: «bisogna puntare ad un giornalismo che sappia guardare al pubblico di oggi ma anche agli utenti di domani. Un giornalismo che sia per l’innovazione e non per la conservazione». 
 

E sull’informazione in rete a prendere la parole è Marco Pancini, direttore relazioni istituzionali Google Italia che dice: «Noi non creiamo contenuti giornalistici ma li utilizziamo quotidianamente». E’ grazie alla rete, infatti, se oggi le notizie sono in grado di raggiungerci in qualsiasi momento e luogo. Le forme di diffusione sono però, in questo caso, diverse. «Non ci sostituiamo ai giornali ma realtà come i social network, ad esempio, rappresentano un’interfaccia dell’informazione che non possiamo ignorare. Ecco perché blog e social network non devono spaventare». Secondo lo stesso Pancini i contenuti devono essere pensati guardando ad un orizzonte nuovo, fatto da più utenti e mezzi tecnici a disposizione. «Sono certo che l’informazione italiana abbia il dna per farlo», conclude.  
 

 
Alle parole di Pancini ribatte Massimo Russo, de La Repubblica, che dice: «Se i giornali tradizionali devono abituarsi alle potenzialità del digitale è vero anche che il digitale ha grande bisogno del giornalismo per controbilanciare il potere del tubo, dei social network, di google. Sono loro infatti a decidere come, quando e quali contenuti far passare». Il problema di fondo, secondo Russo, è infatti quello della neutralità in rete. «Google porta molto traffico ai giornali ma è vero che il digitale ha bisogno di qualcuno che racconti le condizioni imposte dal digitale stesso», conclude.

 

   

 

A seguire l’incontro, la premiazione del concorso “Eretici digitali”, vinto ex-aequo da Marco Pavan (After Jugo) ed Eleven – Catania.  
Per Marco Pavan le motivazioni della giuria sono state: «Un interessante e riuscito esperimento di reportage multimediale realizzato e prodotto da un unico cronista con una struttura di presentazione molto originale. Le storie di nove giovani di Sarajevo sono raccontate con testi fotografie, video e audio che possono essere letti in modo diverso. Un racconto lineare con un inizio e una fine o seguendo percorsi trasversali, persone, argomenti. Presentazione grafica minimale ed elegante».

 

 

Il progetto del gruppo catanese, invece, ha avuto questo giudizio: «Undici giovani reporter catanesi coordinati dal webmagazine della facoltà di lingue dell’università raccontano la loro città in servizi realizzati con diversi mezzi e programmaticamente conclusi in soli sette giorni. Il risultato è un panorama non scontato di Catania con contributi di buona qualità professionale in alcuni casi molto alta. Il premio vuole riconoscere non solo i singoli contributi, ma anche il complesso dello sforzo didattico come dimostrazione che l’università può essere luogo dove crescita professionale e consapevolezza civica si fondono».


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