«I numeri sono esatti quando c’è la sottrazione e la moltiplicazione: due più due fa quattro». In Consiglio comunale sguardi già disattenti si perdono definitivamente di fronte a questa affermazione al microfono. Il senso, si intuiva, è che le cifre parlano da sole, non hanno bisogno di interpretazioni, e se il dissesto si deve dichiarare si dichiara. Del resto, lo ha detto il sindaco Salvo Pogliese, i catanesi possono sperare nello spirito di Francesco Lodi: dopo una brutta partita allo stadio Angelo Massimino, alla fine dal campo si esce vincitori con un rigore al 92esimo. E poco importa se allo stadio i giocatori sono stati ricoperti di fischi. Alle 23.32, con 29 consiglieri presenti, dei quali 27 favorevoli, è stata deliberata la dichiarazione di dissesto del Comune di Catania. Astenuti solo Daniele Bottino e Lanfranco Zappalà, orfani di Enzo Bianco, assente ingiustificato anche in una serata come quella di ieri.
Una cifra dopo l’altra, alla fine quella unanimemente definita come «l’ora più triste» per Catania è arrivata: il default è stato dichiarato e non passerà molto tempo prima che arrivi il triumvirato dell’organismo straordinario di liquidazione a dare una mano all’amministrazione per capire come uscire da un baratro quantificato in un miliardo e mezzo di euro di debiti. I dipendenti comunali, nel frattempo, hanno tirato un sospiro di sollievo: ieri sono arrivate le buste paga, oggi dovrebbero arrivare gli accrediti. Tutto grazie ai 31 milioni e oltre 600mila euro arrivati direttamente dallo Stato dopo l’approvazione del consuntivo 2017. «Sono volati 31 milioni in tre ore», si sentiva dire nei corridoi del municipio. Sempre ieri, intanto, l’Assemblea regionale siciliana ha votato la norma che prevede otto milioni per il Comune di Catania direttamente da Palermo: 32 deputati regionali hanno detto sì, altri 31 – invece – avrebbero tolto a Palazzo degli elefanti un’altra di quelle molliche di pane da mettere da parte per evitare la crisi occupazionale.
«La crisi di liquidità non è legata al dissesto», ci tiene a precisare il primo cittadino, ma l’argomento in realtà in aula non viene toccato. «Potevamo scegliere un’altra strada, non dovevamo dichiarare il dissesto», è il mantra dell’opposizione di centrosinistra. Mentre il Movimento 5 stelle ci tiene a marcare la distanza rispetto a quanto avvenuto nel lontano e più recente passato. Nel ping pong di risposte e contrattacchi, nel merito della delibera poi votata – che prevede anche la revoca del bilancio 2018-2020, almeno per quanto riguarda i prossimi due anni – non entra quasi nessuno (con la sola eccezione di Daniele Bottino). In quelle pagine, oltre che ampie citazioni dei pronunciamenti della Corte dei conti, c’è anche l’ideale risposta alle accuse formulate dalla procura contabile e, plausibilmente, sposate dai giudici delle Sezioni riunite di Roma.
Il primo sassolino tirato fuori dalla scarpa riguarda il valore dei contenziosi stimati dai magistrati. Non 712 milioni di euro, come sostenuto, ma 163: perché, nel frattempo, due grosse cause – una da quasi 390 milioni e una da 51 milioni di euro – si sono risolte, anche se non in via definitiva, a favore del Comune di Catania. Che quindi quei soldi, almeno per il momento, non dovrebbe versarli. Da questo punto, deriva poi la seconda precisazione: la controversia che sfiora i 390 milioni di euro – messa in piedi dalla società Sie (Servizi idrici etnei) – prende il via con la notifica dell’atto di citazione: «In data 27 febbraio 2014, a distanza di oltre un anno dall’approvazione del piano di riequilibrio, e pertanto non poteva essere inserito né previsto quale rischio di soccombenza nelle passività potenziali». Puntini sulle i, che però adesso servono a poco.
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