L'amministrazione etnea inoltra una nota dell'assessore all'Ecologia e ambiente Rosario D'Agata per «precisare alcune circostanze» sul caso dell'affidamento del solarium di San Giovanni Li Cuti a un'associazione religiosa irrintracciabile. Ma le presunte spiegazioni non trovano riscontro negli atti. Leggi i documenti
Il Comune risponde sulla onlus fantasma Ma la versione è smentita dai documenti
Dopo la notizia pubblicata da MeridioNews riguardo l’iter per la realizzazione del solarium di San Giovanni Li Cuti, rimasto incompleto, il Comune di Catania invia una nota dell’assessore all’Ecologia e ambiente Rosario D’Agata. L’amministrazione, si legge, intende «precisare alcune circostanze» riguardo l’affidamento della costruzione e gestione della piattaforma all’associazione Maria SS. Bambina, con sede a Rimini, rivelatasi una onlus fantasma. Ma le spiegazioni che arrivano dal Comune non trovano riscontro nei documenti. Eccole punto per punto.
Scrive l’assessore D’Agata: «Per quanto attiene il solarium di San Giovanni Li Cuti, che da molto tempo non veniva realizzato pur essendo il Comune titolare di una concessione, vero è che l’anno scorso l’associazione Maria Santissima Bambina di Rimini chiese tramite la sua presidente – una suora della congregazione religiosa di Maria Bambina, presente in tutti i continenti -, di realizzarlo sobbarcandosi gli oneri di costruzione, gestione, custodia, sicurezza e salvataggio». Non si capisce come facesse il Comune a sapere che la richiesta proveniva da una religiosa, considerato che – come prova il documento nella gallery fotografica – la domanda dell’associazione è arrivata all’amministrazione in una lettera quasi anonima, senza nessun nome se non quello della sola onlus. Le suore di Maria Bambina a cui il Comune fa riferimento, inoltre, hanno smentito a MeridioNews il loro coinvolgimento nel progetto. La fondazione non conosce, spiegano, la quasi omonima associazione, né svolge nelle sue sedi di Rimini servizi di assistenza ai disabili.
«Il solarium avrebbe occupato la metà dello spazio (circa 600 mq) per le attività motorie di bambini e/o giovani diversamente abili, lasciando l’altra metà al libero utilizzo da parte dei cittadini – continua D’Agata – Il Comune, pertanto, senza spendere un euro avrebbe raggiunto un importante scopo sociale e dato la possibilità ai cittadini di utilizzare metà della piattaforma. Lo scorso anno si firmò la convenzione, con una delegata della religiosa rappresentante legale dell’associazione, ma era ormai troppo tardi per realizzare il solarium. Anche quest’anno, però, purtroppo, per responsabilità dell’associazione – a prescindere dai cambi nella legale rappresentanza -, i lavori sono cominciati con notevole ritardo e, ormai da qualche settimana, sono stati addirittura sospesi». In realtà – come dimostra la stessa convenzione – a firmare la delega lo scorso anno è Claudio Foti, catanese emigrato a Rimini con alcuni procedimenti penali a carico e una condanna per appropriazione indebita, e non suor Bruna Corti. Nessun cambio, intanto, sembra essere avvenuto al vertice della onlus. I lavori, in ogni caso, non sarebbero potuti comunque partire: a mancare era infatti l’autorizzazione del Demanio marittimo al passaggio di concessione dal Comune all’associazione Maria SS. Bambina.
E ancora, prosegue la nota del Comune: «Per questo l’amministrazione comunale ha notificato all’associazione un provvedimento con cui, preso atto delle gravi inadempienze, le si è dato un termine, che scadrà all’inizio della prossima settimana, per completare il solarium o per smontarlo, con la conseguente revoca della convenzione e riservandosi di richiedere un risarcimento dei danni. Quanto al punto ristoro, va sottolineato come ai gestori di tutti i solarium venga concessa la possibilità di aprirne uno facendo richiesta all’assessorato alle Attività produttive». Nel caso specifico, però – e al contrario delle altre piattaforme a mare – il Comune non ha indetto nessun bando né la possibilità di un chiosco è prevista in cambio di un servizio. Senza che l’associazione l’abbia mai richiesto – almeno agli atti -, la possibilità di aprire un punto ristoro è stata inserita nella convenzione dall’amministrazione che, si legge nello stesso documento, «si impegna a rilasciare le autorizzazioni necessarie».