Il clan voleva gestire il chiosco dello stadio di Lentini Leonardi: «No, gli diamo 5000 euro a Pasqua e Natale»

Come ogni mattina, anche il 16 agosto del 2018, Antonello Leonardi va a lavoro. Nella megadiscarica di contrada Grotte San Giorgiogestita dalla sua società – la Sicula Trasporti – ci sono disposizioni da dare agli operai per lo svolgimento delle attività e, soprattutto, c’è da sistemare la questione che riguarda la gestione del chiosco all’interno dello stadio comunale di Lentini che, a quanto pare, stuzzica più di un appetito. «Lo gestiamo noi – taglia corto Antonello – Così non si prende di invidia nessuno». Il suo interlocutore di fiducia è Filadeldo Amarindo, detto Delfo. Dipendente della Sicula, sarebbe lui l’anello di congiunzione tra la famiglia Leonardi e il clan di Cosa nostra dei Nardo. All’indomani di ferragosto di due anni fa, è lui a ricordare ad Antonello l’accordo preso in precedenza con un certo Angelo per l’affidamento del chiosco. Entrambi sono stati arrestati ieri nell’operazione Mazzetta sicula.

Per il pubblico ministero si tratta di Angelo Randazzo che, oltre a essere il nipote del capoclan Sebastiano Nardo, ha anche precedenti per associazione mafiosa, danneggiamento a seguito di incendio ed estorsione. E, in quel momento, si trova in carcere. «Lo hanno attaccato (arrestato, ndr) e sono rimaste tutte cose nell’aria». L’indomani i due riprendono il discorso e Delfo racconta che la sera prima ha incontrato la persona incaricata di fare da intermediario con i soggetti, vicini al clan, interessati a gestire il chiosco. «Ma questo che mangiamento ha? Si deve stare muto», dice Leonardi mostrando tutto il suo disappunto per l’intromissione di esterni nella questione. Quello che Antonello non sa è che a dargli disposizioni sarebbe stato suo figlio Giuseppe (non indagato), presidente della squadra di calcio Sicula Leonzio

Padre e figlio si danno appuntamento per discuterne nella discarica in contrada Coda Volpe. Dalla conversazione emerge il presunto rapporto con il clan Nardo per la gestione delle attività e le loro aspettative di un ritorno in termini di favori o intimidazioni agli avversari. Per questo, tra l’altro, Leonardi junior lamenterebbe il mancato intervento del clan per aiutarlo a risolvere una questione con i proprietari di un hotel di Lentini. «Perché non mi sistemano la cosa – chiede Giuseppe al padre – che questi qua sono spacchiosi. Perché non ci vanno e ci rompono tutte cose. Che mi possono fare a me le truffe?». Il punto riguarda una richiesta di soldi superiore rispetto agli accordi presi per i pernottamenti dei giocatori in un albergo.

Gestione o meno, i soldi dei Leonardi al clan sono assicurati. «Noi altri gli diamo cinquemila euro per Natale e cinquemila euro per Pasqua». Un contributo versato regolarmente in due rate che, però, secondo gli inquirenti, non sarebbe indice di un assoggettamento degli imprenditori alla criminalità quanto piuttosto di una «collusione». Il 14 dicembre Antonello Leonardi viene intercettato mentre dà ad Amarindo 5.000 euro da consegnare al clan. «Questi qua, prendi e glieli dai a iddi (a loro, ndr) Gli dici che gli vanno fare la spesa». Una somma irrisoria a fronte dei milioni di euro fatturati dalle imprese dei Leonardi. «Non una dazione estorta, ma un contributo – spiegano gli inquirenti – elargito per una forma di accondiscendenza legata a un rapporto di reciproca convenienza. Leonardi – aggiungono – si pone nei confronti del clan come un interlocutore pressoché paritario. Assume il ruolo di elemosiniere che, con pochi soldi, richiede e ottiene protezione e benefici dal clan».   

Marta Silvestre

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