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Il braccio destro dei Santapaola e la scalata alla piramide: «Mbare mi resta l’ultimo pisolo e poi basta»
«Erano le due di notte e lo abbiamo trovato seduto al tavolino innanzi al bar. A quel punto lo abbiamo colpito ripetutamente con calci, pugni e colpi di sedia, lasciandolo a terra pieno di sangue». Funziona così nell’ambiente di Cosa nostra quando a essere disturbata è la persona sbagliata e c’è da rimettere le cose al loro posto. Silvio Corra, cognato del defunto Angelo Santapaola e da qualche anno collaboratore di giustizia, ha raccontato ai magistrati della procura di Catania il pestaggio di Filippo Marletta davanti a un bar in via Acquicella. Colpevole, quest’ultimo, di avere molestato la moglie del narcotrafficante Andrea Nizza. «Citofonandole di notte e insultandola», si legge in un verbale finito negli atti dell’inchiesta. Marletta, insieme al fratello detenuto Mario, all’epoca era transitato dal gruppo mafioso dei Nizza al clan dei Cursoti milanesi, dove già operavano i suoi cugini: Antonio e Martino Sanfilippo. Tra le pagine dell’inchiesta Sangue blu dietro questa vicenda si intrecciano racconti e aneddoti che rimandano al nome di Cristian Buffardeci, costituitosi alle forze dell’ordine dopo essere sfuggito al blitz dei carabinieri della scorsa settimana.
I gruppi criminali attivi nei quartieri del capoluogo etneo sono come dei vasi comunicanti, dove tutti conoscono tutti e un passaggio da un clan all’altro è ormai diventata normalità. Capita però che i trasferimenti si portino dietro tensioni e ferite difficili da sanare. Nel caso di Marletta, e del fratello, per esempio ci fu la necessità di organizzare un summit tra Santapaola e Cursoti. Un faccia a faccia chiamato non solo per chiarire la questione del pestaggio. «Si era appropriato di un sacco di soldi – racconta il collaboratore Corra ai magistrati – e volevamo togliergli anche la disponibilità di una casa che era di Andrea Nizza».
All’incontro, nei pressi di corso Indipendenza, non si presentò l’uomo accusato di essere il reggente dei Santapaola – Francesco Napoli – ma proprio il suo presunto braccio desto Buffardeci. «Andò male, Carmelo Di Stefano rispose che non c’era nulla da restituire e i Cursoti vennero cacciati di casa», rivela Corra. Quest’ultimo non era presente ma si sarebbe occupato della risposta dei Santapaola: «Organizzai una spedizione con venti scooter con a bordo due persone per ogni motorino – spiega ai magistrati – Volevamo cercare Di Stefano e dimostrargli che non avevamo paura di uno scontro armato». ,
La spedizione, tra corso Indipendenza e viale Mario Rapisardi, con mitragliatori e pistole, si concluse però con un nulla di fatto: «Non abbiamo visto nessuno dei Cursoti e dopo circa un’ora siamo rientrati». L’idea della spedizione però non convinse tutti e sarebbe stato proprio Napoli a richiamare all’ordine Corra facendo sì che Santapaola e Cursoti trovassero l’accordo durante una successiva riunione in una traversa di via Pacini.
Nelle carte dell’inchiesta Sangue blu, Buffardeci viene bollato dal giudice per le indagini preliminari come «l’alter ego» di Napoli. Una scalata ai vertici della piramide dell’organizzazione mafiosa come lui stesso, secondo gli inquirenti, faceva riferimento in un dialogo intercettato e trascritto negli atti dell’indagine: «Mbare devo dire che l’ultimo pisolo (scalino, ndr) mi resta. Poi basta, non ho più pisoli».