Seconda udienza oggi a Bicocca per il processo ordinario ricominciato ieri davanti al Tribunale di Catania, dopo una falsa partenza in Corte d'Assise. Presentata in aula la lunga lista di richieste di prove dell'accusa. Tra queste, anche i verbali con le dichiarazioni del boss neo collaboratore di giustizia Santo La Causa. Ancora non disponibili ma che già preoccupano le difese. Il sostituto procuratore Agata Santonocito: «Forniremo un quadro chiaro di Cosa Nostra catanese». Con qualche anticipazione
Iblis, il neopentito fa i nomi di boss e politici «A Catania comanda Santapaola jr»
«A Catania il capo dellorganizzazione Cosa nostra è Vincenzo Santapaola». Il figlio di Nitto, «un fantasma» secondo le famiglie mafiose palermitane, un uomo molto discreto nei racconti di Santo La Causa, il boss neo collaboratore di giustizia: «Non si è fatto conoscere come tale da tutti i componenti dellorganizzazione». La sua decisione di collaborare con la giustizia e i verbali delle sue dichiarazioni sono stati oggi al centro della seconda udienza del processo ordinario nato dall’indagine Iblis, cominciato ieri per la seconda volta davanti al Tribunale di Catania, dopo una falsa partenza in Corte d’Assise. Documenti, quelli sui racconti di La Causa, ancora non depositati ma che preoccupano già i legali degli imputati: esponenti della criminalità organizzata, imprenditori e politici. A placare la polemica è servita la «parola da gentiluomo» del pubblico ministero – come l’ha definita la corte – di rendere i verbali al più presto disponibili. «Ma, come potete capire, non ce n’è stato né il tempo né il modo, considerato che le dichiarazioni di La Causa sono ancora in corso», spiega il procuratore aggiunto Carmelo Zuccaro. I primi due verbali con i racconti del neo pentito risalgono infatti al 5 e al 15 maggio.
Le dichiarazioni del boss sono solo una delle tante prove la cui ammissione è stata oggi richiesta dall’accusa. Si va dalle sentenze – definitive e non – sugli imputati ai documenti che riguardano l’eventuale confisca di beni. Passando per le intercettazioni – telefoniche ed ambientali – e l’audizione dei collaboratori di giustizia. «Persone interne al clan Ercolano-Santapaola, come Ignazio Barbagallo – specifica il sostituto procuratore Agata Santonocito – oppure alleate, come Giuseppe Laudani. Ma anche esponenti di famiglie contrapposte, come Gaetano D’Aquino. Così da avere un quadro completo fornito dai diversi punti di vista». Un accenno dello scenario criminale all’ombra dell’Etna lo ha già fatto lo stesso magistrato oggi in aula. «Esistono due livelli – spiega – Uno basato sul controllo del territorio e la forza bruta e un altro che punta alle infiltrazioni nella politica e nell’imprenditoria». Ognuno con i propri responsabili di riferimento, tutti imputati nel processo in corso. Questo lo schema secondo l’accusa: Vincenzo Santapaola e Giuseppe Ercolano al vertice; Natale Fillocamo, Rosario Di Dio e Pasquale Oliva «in posizioni apicali» con l’aiuto di Vincenzo Aiello, in qualità di rappresentante provinciale. «Di Dio e Oliva rappresentano le diramazioni in provincia della famiglia catanese – continua Santonocito – Il cui potere si estende lungo tutto la fascia jonica, fino a Siracusa e Ragusa e fino a Caltagirone ed Enna».
Un potere che, in più di un caso trattato all’interno dell’indagine, si è manifestato attraverso tentativi di estorsione a diversi imprenditori locali. «Vedremo se le vittime riusciranno a vincere il timore e a venire a riferire delle vicende di cui sono stati protagonisti», aggiunge il sostituto. Oppure tramite l’interesse diretto in alcuni settori chiave, così riassunti dall’accusa: il fotovoltaico, la costruzione del parco tematico di Regalbuto, la grande distribuzione – soprattutto con il parco commerciale Tenutella, oggi Centro Sicilia – e l’edilizia pubblica. A proposito della Tenutella, il pentito La Causa tira in ballo un politico, Nino Strano, ex Pdl oggi Fli «che si adoperò per sbloccare le autorizzazioni necessarie». «Calunnie», commenta il senatore. Oltre al centro commerciale un esempio importante, per la procura etnea, è il caso della ditta Safab: «Su cui si sono concentrati gli interessi di diverse famiglie mafiose siciliane e che dimostra l’influenza sovraprovinciale di Cosa nostra etnea». Ma non c’è solo l’imprenditoria nel business criminale: un ruolo fondamentale lo giocano infatti le interferenze nella politica locale. Ben accette dai politici stessi secondo l’accusa: come nel caso di Fausto Fagone, ex sindaco di Palagonia e deputato regionale, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e concussione.
Una lunga lista di prove quella presentata dall’accusa a cui si aggiungono quelle richieste dai legali degli imputati. Tra tutte, l’esame dei loro stessi assistiti e diverse perizie patrimoniali. A partecipare regolarmente allo svolgimento del processo sarà anche Vincenzo Santapaola, oggi presente in aula dopo l’assenza di ieri per motivi di salute. Un incidente l’altro ieri all’interno dello stesso carcere di Bicocca – dove è detenuto e dove si tengono le udienze – gli avrebbe reso impossibile raggiungere l’aula bunker. Da dove invece ha seguito oggi l’udienza ed è stato raggiunto dai suoi legali, Strano Tagliareni padre e figlio, a colloquio con lui all’interno della cella di sicurezza. «A questo punto – dichiara la corte – revochiamo la disposizione di una perizia sulle sue condizioni di salute».