Nella maggior parte dei casi è stata chiesta la conferma della sentenza di primo grado. Per alcune posizioni, invece, la procura ha chiesto degli sconti. È il caso del presunto boss calatino Rosario Di Dio, condannato in primo grado a 20 anni, rispetto al quale si è parlato di «una fattiva collaborazione»
Iblis, conclusa requisitoria processo d’Appello Chieste condanne più lievi per Di Dio e Aiello
Tante richieste di conferma della sentenza di primo grado e qualche sconto, ma solo per alcuni reati. Si conclude così la lunga requisitoria del processo d’Appello Iblis sul legame tra mafia, politica e imprenditoria. A beneficiare del taglio maggiore potrebbe essere Rosario Di Dio. Per il presunto boss calatino, condannato nel primo processo a 20 anni, il magistrato Antonino Fanara ha chiesto la condanna in secondo grado a 14 anni. «In virtù di una fattiva collaborazione», dice il pm durante la requisitoria. Chiaro riferimento a quando nei mesi scorsi Di Dio ha deciso di parlare con i magistrati della procura etnea. Due incontri, avvenuti Il primo a dicembre 2014 – svelato per la prima volta da MeridioNews – e il secondo qualche mese dopo, nell’estate 2015. In quest’ultimo si sono concentrati racconti e accuse su Raffaele Lombardo e il fratello Angelo. Tra i vari aneddoti che sono stati svelati c’è quello di una cena elettorale che si sarebbe tenuta nell’agriturismo Paglia, in contrada Montagna, nei pressi di Ramacca. Di Dio ha parlato anche del suo ruolo nell’intreccio mafia e politica prima del 2007. Il presunto boss, secondo le sue rivelazione, sarebbe stato l’intermediario per un numero non precisato di incontri tra il reggente di Cosa nostra etnea Angelo Santapaola e l’allora leader autonomista Raffaele Lombardo.
Il processo ordinario di primo grado si era concluso a maggio 2014 con condanne per 270 anni di carcere. La pena più dura – 22 anni – era stata inflitta al capo provinciale di Cosa nostra catanese Vincenzo Aiello: in Appello la richiesta è scesa a 12 anni e novemila euro di multa. Il boss, ormai da anni detenuto al carcere duro, è stato arrestato nel 2009 nella campagna di Belpasso. Sarebbe stato lui, secondo la ricostruzione dell’accusa, la cerniera tra mafia, politica e imprenditoria. Conferma della condanna per concorso esterno alla mafia per l’ex deputato e sindaco di Palagonia Fausto Fagone. Il politico, presente in aula durante tutte le fasi della requisitoria, ha sulle spalle una condanna in primo grado a 12 anni. Nel mirino dell’accusa i presunti rapporti con Di Dio. In particolare a essere citato in aula è un presunto affare da due milioni di euro, che nel 2008 prevedeva l’investimento in fondi off-shore di alcune fiduciarie svizzere. «Una storia significativa», immortalata in un incontro che si è tenuto a Roma, nella sede di una società d’intermediazione alla presenza dello stesso Di Dio e dell’ex sindaco.
Un ruolo chiave nell’associazione mafiosa è quello che viene contestato anche a Vincenzo Santapaola. Il figlio maggiore del capomafia Nitto secondo la sentenza di primo grado «è dal 2005 il successore del padre». Santapaola junior, dopo l’assoluzione nel processo Orsa Maggiore del 1993 e la condanna a sette anni nell’inchiesta Orione – in cui viene escluso il suo ruolo di capo -, è attualmente recluso a Rebibbia. Conosciuto con il diminutivo di Enzuccio o Enzu u nicu (il piccolo, ndr) per distinguerlo da un cugino, viene arrestato per l’ultima volta nel marzo 2012, due anni dopo il blitz antimafia Iblis. A puntare il dito contro di lui è stato senza mezze misure il pentito Santo La Causa. La richiesta per lui è quella di confermare la condanna di primo grado a 18 anni. Potrebbero avere pene più lievi anche i presunti boss Pasquale Oliva e il cognato Giuseppe Tomasello, ex assessore al Comune di Ramacca. Per loro l’accusa ha chiesto rispettivamente 16 e 10 anni di reclusione, due e tre anni in meno rispetto al primo filone processuale.