L'operazione Chimera della procura di Caltanissetta ha acceso i riflettori sugli affari della famiglia Sanfilippo. Ricostruiti anche due casi di lupara bianca risalenti al 1984 e al 1991. I corpi delle vittime non sono mai stati ritrovati
I parassiti della Stidda tenevano sotto scacco Mazzarino Estorsioni a tappeto, armi e cocaina attraverso la Calabria
Cinquantacinque persone indagate, 37 finite in carcere, 13 ai domiciliari, due obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, tre misure interdittive allo svolgimento di attività professionali e otto ordinanze notificate a persone che si trovavano già dietro le sbarre. Sono i numeri dell’operazione Chimera, portata a termine dai carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta su delega della procura locale. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa passando per omicidi ed estorsioni. Sotto la lente d’ingrandimento il clan Sanfilippo di Mazzarino, ritenuto appartenente alla Stidda.
Le Indagini. Il provvedimento cautelare scaturisce da un’articolata indagine condotta tra il 2017 e il 2021 e avviata sulla base di elementi forniti dal comando carabinieri Tutela agroalimentare. In una nota i militari avevano evidenziato le richieste della famiglia Sanfilippo al fine di ottenere fondi europei in ambito agricolo. Così i militari hanno ricostruito gli affari del gruppo, specializzato nel traffico di droga ma anche nella percezione di contribuiti attraverso false dichiarazioni inviate a Bruxelles. Ad emergere anche la pressione estorsiva esercitata dalla consorteria in danno di numerosi imprenditori e operatori commerciali di Mazzarino, costretti a corrispondere somme di denaro per il sostentamento dei sodali detenuti, a fornire gratuitamente beni e servizi ai membri del clan e ad effettuare assunzioni fittizie di affiliati. L’intensità e capillarità della predetta pressione hanno consentito ai componenti dell’organizzazione di approvvigionarsi di ingenti risorse economiche, drenandole dall’economia reale del territorio vessato, secondo un modello comportamentale di tipo apertamente parassitario.
Per raggiungere questi fini gli affiliati si avvalevano di un consistente arsenale di armi da sparo, necessarie per affermare il controllo criminale nell’area di riferimento e non esitavano a porre in essere condotte violente nei confronti dei pochi che osavano resistere alle loro pretese. Attraverso l’inchiesta i carabinieri sono riusciti a fare luce su due casi di lupara bianca e su un traffico di sostanze stupefacenti, specie cocaina. Dietro le forniture ci sarebbero stati consolidati rapporti con dei broker calabresi. Tra gli aneddoti un bacio che si sarebbero scambiati all’interno del carcere di Sulmona il capo clan di Mazzarino e il fornitore calabrese.
Gli omicidi. In particolare è stato ricostruito un delitto risalente al 1984. Anno in cui un operaio edile di 22 anni di Mazzarino, sospettato di appartenere ad uno dei gruppi criminali rivali, sarebbe stato attirato con l’inganno in un luogo isolato e strangolato dopo essere stato violentemente percosso. Il corpo non è mai stato ritrovato. Qualche anno dopo, nel 1991, un uomo di 28 anni sempre di Mazzarino, sospettato di essere il custode delle armi per conto di uno dei clan rivali, prima di essere strangolato, sarebbe stato lungamente interrogato, percosso e, addirittura, mutilato mediante il taglio delle orecchie, del naso e delle dita. Il corpo, gettato all’interno di un pozzo nelle campagne mazzarinesi, non è stato mai ritrovato.
Le estorsioni. Questo settore al pari di quello degli stupefacenti, rappresentava una fonte di indiscutibile importanza per il sostentamento economico della famiglia Sanfilippo e impegnava molti degli appartenenti all’organizzazione, ivi compreso il boss detenuto Salvatore Sanfilippo che sfruttava gli incontri con i proprio familiari, per ricevere aggiornamenti sulle attività illecite poste in essere dal clan e per impartire le direttive. A essere presi di mira erano tanto le principali attività commerciali della zona (operanti per esempio nel settore della grande distribuzione o della ristorazione), quanto bar, piccoli artigiani e, persino venditori ambulanti. I membri del sodalizio applicavano rigidamente il principio della territorialità, assoggettando alle loro pretese anche coloro che provenendo dai paesi vicini.
I nomi delle persone coinvolte: Girolamo Bonanno, 44 anni, Emanuele Brancato, 38, Silvia Catania, 30, Massimiliano Cammarata, 44, Rocco Di Dio, 28, Paolo Di Mattia, 28, Salvatore Di Mattia, 25, Rosangela Farchica, 52, Gianfilippo Fontana, 50, Samuel Fontana, 24, Marco Gesualdo, 31, Luca Guerra, 30, Vincenzo Iannì, 47, Bartolomeo La Placa, 36, Ilenia La Placa, 39, Silvano Michele Mazzeo, 50, Beatrice Medicea, 55, Enza Medicea, 53, Giuseppe Morgana, 24, Melina Paternò, 46, Gianpaolo Ragusa, 51, Andrea Sanfilippo, 52, Calogero Sanfilippo, 38, Calogero Sanfilippo, 30, Calogero Sanfilippo, 45, Giuseppe Sanfilippo, 37, Liborio Sanfilippo, 64, Marcello Sanfilippo, 52, Maria Sanfilippo, 35, Marianna Sanfilippo, 64, Marianna Sanfilippo, 36, Maurizio Sanfilippo, 56, Paolo Sanfilippo, 30, Salvatore Sanfilippo, 58, Salvatore Strazzanti, 44, Girolamo Zappalà, 61, Ignazio Zuccalà, 36. Arresti domiciliari: Santa Sandra Alleruzzo, 34 anni, Ludovico Bonifacio, 44, Vincenza Rosalba Galati, 47, Salvatore Giarratana, 35, Valentina Guerra, 29, Antonino Iannì, 43, Ivan Dario Iannì, 31, Francesco Lo Cicero, 67, Valentina Maniscalco, 34, Grazia Minischetti, 49, Rosario Ridolfo Nicastro, 51, Salvatore Adamo Sanfilippo, 47, Filippo Verga, 31. Misure interdittive per il medico Giuseppe Fanzone, 60 anni, (sospensione esercizio della professione per sei mesi), per l’avvocato Salvatore Ridolfo Nicastro, 66 anni, (un anno) e per un altro medico, Salvatore Sanfilippo, 70 anni, (nove mesi). Disposti anche due obblighi di presentazione nella stazione dei carabinieri.