I motivi del reintegro di Pogliese a sindaco di Catania Dubbi sulla durata fissa della sospensione dalla carica

Auguri di una fruttuosa ripresa dell’attività amministrativa e comunicati che salutano la restituzione di «quanto illegittimamente gli era stato tolto». Le caselle di posta delle redazioni giornalistiche da ore accolgono le reazioni di chi ha accolto con soddisfazione la notizia del reintegro a Palazzo degli elefanti di Salvo Pogliese che, da oggi, potrà tornare a fare il sindaco di Catania. La decisione, presa dalla prima sezione Civile del tribunale di Catania, segue un ricorso presentato dai legali del primo cittadino per contestare la legittimità della sospensione disposta dalla prefettura in seguito alla condanna in primo grado per peculato. Oltre quattro anni, per avere usato in maniera non consona, ai tempi dell’esperienza all’Assemblea regionale, le somme destinate ai gruppi parlamentari. Nel mirino dei difensori di Pogliese è finita la legge Severino, ovvero la norma con cui nel 2012 l’allora governo guidato da Mario Monti tentò di mettere un argine agli episodi di corruzione all’interno della pubblica amministrazione. 

Nello specifico sono sette i motivi di illegittimità evidenziati dagli avvocati Eugenio Marano, Claudio Milazzo – firmatari del ricorso – e Felice Giuffrè, che hanno assistito Pogliese. Si va dalla contestazione del fatto che a emettere il provvedimento di sospensione sia stata la prefettura a una questione di competenze tra Stato e Regioni, dalla non validità della legge per i parlamentari nazionali ed europei alla messa in discussione del principio di non colpevolezza. Di fatto, però, il tribunale ha ritenuto quasi tutti i rilievi dei legali «manifestamente infondati», a eccezione di quello riguardante l’entità fissa della sospensione prevista dalla legge Severino: 18 mesi

«La sospensione delle funzioni – si legge nell’ordinanza emessa dal tribunale – costituisce una misura cautelare a protezione dell’ente. Consegue l’esigenza di una verifica dell’entità del pregiudizio, che all’ente deriva in concreto da quei comportamenti, e di una valutazione complessiva dei contrapposti interessi. La mancata ponderazione – proseguono i giudici – di questi interessi in gioco ai fini della determinazione dell’entità della sospensione entro un limite massimo conduce a un sospetto di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità». 

Per il tribunale etneo, che ha incaricato la Corte costituzionale a esprimersi nel merito, non si può escludere quindi che l’impossibilità di determinare una sospensione proporzionata ai fatti imputati a Pogliese mette in dubbio la costituzionalità della norma. E questo è il motivo che ha portato i giudici ad annullare in via cautelare la misura comminata al sindaco a luglio. «È da ritenere che sussista, altresì, anche il periculum in mora – si legge nell’ordinanza -. L’applicazione del provvedimento prefettizio di sospensione, laddove fossero fondati i dubbi riguardo alla legittimità costituzionale, comporterebbe un’indebita ed eccessiva restrizione all’esercizio dell’elettorato passivo e del libero svolgimento del mandato elettorale, con conseguente danno per Pogliese non riparabile né risarcibile».


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