I misteri di Montagnalonga

Il generale in riserva dell’Arma dei Carabinieri, Antonino Borzì, dopo avere donato all’Archivio ‘Casarrubea’ le carte in suo possesso relative all’incidente di Montagnalonga, ha dato mandato al suo legale, avvocato Ernesto Pino del foro di Catania, di avanzare, presso il Tribunale del capoluogo etneo, istanza per la riapertura del processo, attualmente contro ignoti, per il disastro aereo in cui trovarono la morte il proprio fratello Rosario, di 24 anni, ed altre 114 persone di cui sette membri dell’equipaggio.

Come si ricorderà, la sera del 5 maggio 1972 un aereo dell’Alitalia, partito da Roma Fiumicino, andò a scagliarsi sui roccioni di Montagnalonga, a un tiro di schioppo dall’aeroporto di Punta Raisi. La responsabilità dell’accaduto fu prima fatta ricadere sui piloti, e su alcuni dirigenti dell’aeroporto di Palermo che avrebbero agito nella totale carenza di alcuni mezzi essenziali per le operazioni di avvicinamento degli aeromobili alle piste di atterraggio. Il processo si chiuse con la condanna dei piloti e l’assoluzione dei dirigenti.

Dall’istanza presentata dal generale Borzì si evince che l’aereo dell’Alitalia quella sera venne a trovarsi in fiamme prima dell’impatto con Montagnalonga, per cause ancora da accertare, come in precedenza aveva insistentemente dichiarato, anche se in termini diversi, la signora Maria Eleonora Fais, sorella di Angela, morta nel disastro aereo. Inoltre la mole dei documenti raccolti dal generale e donati all’Archivio ‘Casarrubea’, lascia supporre che ci siano elementi, mai presi in considerazione, ma fondamentali per l’individuazione della reale dinamica dei fatti.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Giuseppe Casarrubea il 30 novembre 2008. E’ ancora attuale e LinkSicilia lo ripropone ringraziando Giuspepe Casarrubea per la sua collaborazione.

L’articolo si apre con una precisazione di Luciano La Piana, che ci scrive:

“Si disse che un DC-9 proveniente da Catania, atterrò prima del DC-8, poiché quest’ultimo gli diede precedenza. Fu divulgata questa notizia, ma dalle carte processuali che ho avuto modo di leggere, non risulta nessun richiamo a questa precedenza. Anche questo, un mistero avvolto nella nebbia, di chi forse volle depistare.”

La memoria è una virtù rara. Comporta tutto quello che serve per mantenerla e incrementarla: il continuo esercizio, il radicamento culturale, il ricorso ai fatti. Senza il dono della memoria si procede alla giornata e il presente e il futuro non hanno più senso. Potremmo anche dire che la memoria è scomoda rivendicando a sé la prerogativa di un altro requisito: lo sforzo della ricerca e dell’ impegno per dare ai fatti un senso logico e il necessario inquadramento che meritano. Ora, noi siciliani, purtroppo, siamo stati deprivati del nostro futuro (nella lingua siciliana non esiste il tempo futuro) perché il nostro passato (il tempo passato è quasi sempre un passato remoto) è stato deviato ai margini della stessa percezione dei fatti, fino alla loro definitiva espulsione dal processo digestivo grazie al quale gli organismi sani assimilano gli elementi vitali per la loro sopravvivenza.

Spesso non ci si è trovati di fronte a fatti banali che una certa ecologia della mente ci avrebbe consigliato di rimuovere definitivamente. Ecco perché mi pare doveroso ricordare una data e un tragico “incidente”. Il 5 maggio 1972 alle 22,30 di sera precipitava su Montagnalonga un Dc8 con 115 persone a bordo compresi sette elementi dell’equipaggio. I primi testimoni accorsi sul posto, dopo un’ ora, videro alla luce delle torce elettriche uno scenario apocalittico. L’aereo era ridotto a brandelli e i morti a poltiglia, “disintegrati”, ebbe a dire il vice comandante dei vigili del fuoco telefonando ai suoi superiori.

Seguirono quattro perizie dei tribunali e una parlamentare. Ma, alla fine, colpevoli furono solo i tre piloti che, per altro, non potevano più parlare. E, da allora, le cose si sono bloccate, nonostante i tentativi delle parti civili (Fais, Bartoli e Salatiello) di far riaprire un’ istruttoria, forti come sono di un nuovo documentario girato sulla scena del disastro un’ora dopo i fatti. Il rapporto giudiziario del vice questore, Giuseppe Peri, rappresentò forse il primo atto innovativo nella storia della polizia giudiziaria. Era la prima volta, infatti, che un “incidente” come quello accaduto veniva inquadrato in una cornice ampia ed esaustiva, al cui interno risultava preponderante l’eversione nera capeggiata da Pier Luigi Concutelli e da un gruppo di neofascisti a lui associati. Essi, attraverso la pratica dei sequestri di persona (il più famoso fu quello di Luigi Corleo), avrebbero finanziato le loro attività antidemocratiche, organizzati, com’ erano, in movimenti estremisti come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Ordine nero, e via discorrendo. Perquisita l’ abitazione di Concutelli, la polizia vi trovava, cariche di tritolo, bombe a mano, vari rotoli di miccia, detonatori, interruttori per comando a distanza di cariche esplosive, pistole, mitragliatrici e moschetti automatici, due manuali sull’ impiego di esplosivi dell’ Esercito e altro.

Ma tutto questo non c’entrava con l’ aereo caduto, c’ entravano i piloti che erano persone oneste e di alta professionalità. E qui, all’ insufficienza istituzionale suppliva il rapporto giudiziario di Peri: quella sera era l’ ultimo giorno di campagna elettorale, molti carinesi che ascoltavano l’ ultimo comizio prima di andare a casa, videro precipitare un aereo in fiamme, qualche vittima, oltre le 115, non fu identificata, per cui era stato impossibile persino sapere a quanto ammontasse il numero dei morti, la scatola nera non aveva tracce di parole o discorsi anomali da parte dei piloti. Tutto deponeva per un facile atterraggio e i successivi pochi minuti di volo.

Il pilota del Dc8, prima di atterrare, aveva dato la precedenza ad un altro aereo che si disse proveniente da Catania. Dieci minuti di tempo che si aggiungevano all’ ora esatta dell’ atterraggio. Se tale imprevisto non ci fosse stato è facile prevedere che i passeggeri sarebbero scesi dall’ aereo e che l’ esplosione sarebbe avvenuta con l’ aereo vuoto. Ma anche qui si misuravano i voleri imponderabili del destino. Perché forse era dovuto al fato quanto era successo, ma non poteva essere un caso che quei morti si collocassero tra due stragi avvenute in quel periodo: piazza Fontana (dicembre 1969) e piazza della Loggia a Brescia (giugno 1974). Nel mezzo c’ erano altri misteri, siciliani e nazionali che davano senso e continuità alla “strategia della tensione”.

Sparare o mettere il tritolo in luoghi dove si svolge serena la vita di tutti i giorni; fare saltare in aria una banca o delle persone che assistono a un comizio sindacale sapeva di ferite antiche. Non a caso il giudice Luigi Salvini, indagando su piazza Fontana, attraverso il consulente storico Aldo Giannuli, incrociava tra le carte di archivio Portella della Ginestra, il neofascismo e l’appartenenza della banda Giuliano ai nuclei eversivi legati alla destra extraparlamentare già negli ultimi anni Quaranta. E, guarda caso, anche allora ricorrevano sigle poco rassicuranti: Fronte italiano antibolscevico, Armata italiana della libertà, Esercito clandestino anticomunista, Squadre di Azione Mussolini, ecc. ecc.

Allora si gettarono le basi dello stragismo italiano e, ancora una volta, nonostante qualcuno possa storcere il muso facendo passare per “balle” tutte le ipotesi doverose che conducono ai servizi internazionali e americani, in particolare, il diritto e il dovere della memoria ci autorizza a verificare anche questa pista, piaccia o non piaccia. Nel mezzo, tra il 1969 e il 1975, non ci sono altri piccoli misteri, ma i grandi misteri che, disvelati, ci farebbero capire meglio la storia d’ Italia. Basti pensare alla scomparsa, avvenuta nel 1970 di Mauro De Mauro, all’ uccisione, il 5 maggio 1971, un anno esatto prima di Montagnalonga, del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione, all’ uccisione del giornalista Giovanni Spampinato (1972) che stava indagando, guarda caso, sul neofascismo. Tra tutti hanno pagato sempre gli innocenti e quanti hanno esercitato il diritto della memoria. Vorremmo, perciò, che il calendario che questa ci prospetta non sia una semplice cronologia. Perché non lo sia, abbiamo questo carico di responsabilità che altri non hanno: procedere con pazienza su ogni singolo punto, senza correre, come ci hanno abituato a fare, su ciò che ci accade intorno.

LE FOTO SONO TRATTE DAL SITO: WWW.MONTAGNALONGA.IT

 


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