«Mi è venuta in mente una cosa, però devo sapere se sei sposata o divorziata». Lo stato civile è il requisito fondamentale di partenza per mettere in pratica l’idea della 52enne originaria di Pomezia (in provincia di Roma) ma residente a Comiso (nel Ragusano) Giuseppina Donatuti, per tutti Pina. C’è lei al centro dell’operazione Wedding planner della guardia di finanza di Ragusa accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e corruzione. Insieme alla donna è stato sottoposto all’obbligo di dimora nel Comune di residenza anche il comisano 50enne Marco Dimartino. Sospensione per sei mesi dal servizio da vigile urbano a Comiso per il 53enne ragusano Francesco Palazzo.
Da disoccupata – e già arrestata perché trovata in possesso di cinque chili di marijuana – la donna si sarebbe inventata un lavoro illegale: combinare matrimoni (cinque in tutto) tra cittadine italiane in cerca di soldi ed extracomunitari bisognosi del permesso di soggiorno. «Io sono single», è la risposta da cui parte tutta l’organizzazione del primo sposalizio falso. Al costo di 6.000 euro, Pina avrebbe organizzato tutto: trovato la sposa (che avrebbe incassato circa 4.500 euro), i testimoni (che spesso sono fidanzati o compagna delle spose) e il pubblico ufficiale, sbrigato i documenti per la pubblicazione, organizzato la cerimonia. In una occasione, la futura sposa chiede tempo per pensare ma Donatuti la incalza: «Ce l’ho subito disponibile». Messa alle strette e con i soldi a fare gola, la ragazza richiama la sera stessa per dare la propria disponibilità. L’unica richiesta è che le nozze non vengano celebrate a Vizzini dove la conoscono tutti, perfino «il sindaco è amico di mio padre». Ma non si può fare altrimenti: il matrimonio va celebrato nel Comune di residenza.
In più di una circostanza, la donna che si deve sposare non ricorda nemmeno la data delle sue nozze. «Ma è il 3 maggio o il 3 giugno?». Preoccupati, dall’organizzazione le raccomando che «ti devi vestire bene. Ora quello ti compra l’anello, fattelo fare d’oro», suggerisce un uomo indagato come complice di Donatuti mentre ridono di un ragazzo che, per vivere, lavora saltuariamente nei campi. Dopo il matrimonio, la sposa chiede – tramite il fidanzata vero – una rata con il doppio dei soldi. «Non ce li ho, non lavoro», risponde il giovane di origine marocchina da cui la donna, che non ricorda nemmeno il nome, manifesta subito la volontà di divorziare. Da pagare, però, resta anche il conto con Donatuti: «Quei soldi mi servono – dice Donatuti – mi devo comprare la macchina». Ci sono casi, però, in cui non fila tutto liscio. «Come te lo devo dire? – lamenta la donna – Se voi non capite non è colpa mia: qui ci vuole un mese per il matrimonio. Non ci vuole una settimana: non siamo a Tunisi o in Marocco, che lì in un giorno ti puoi sposare. Qui siamo in Italia e la legge è questa».
Non solo matrimoni, il business si sarebbe allargato anche al settore immobiliare: stando a quanto emerso dalle indagini, sarebbero stati stipulati sotto un lauto pagamento (di circa 800 euro) falsi contratti di locazione di un anno. «Dimore abituali» per migranti braccianti agricoli – costretti a vivere in alloggi di fortuna tra i campi – sarebbero diventati immobili inesistenti, alcune case degli indagati, un supermercato e anche un rudere inabitabile senza infissi né alla porta né alle finestre. L’obiettivo era il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. A raggiungerlo, avrebbero contribuito anche Dimartino e Palazzo che, nel loro ruolo di agenti di polizia municipale e accertatori incaricati dall’ufficio anagrafe, avrebbero attestato falsamente di avere verificato la presenza delle persone nelle residenze fittizie.
«Ci sono due persone da caricare in una casa, ma nella mia non ne possiamo fare più», dice Dimartino in una conversazione telefonica intercettata. Donatuti è pratica: «E vabbè, fatti dare tutto e portali». L’accordo prevede 200 euro di acconto e 800 euro in totale di cui «noi abbiamo 700 euro di guadagno». I due discutono di come dividere tra loro le somme, facendo riferimento a come hanno già fatto in altre occasioni. «Avà, ma tutto io ci metto però – lamenta la donna – Tu l’altra volta non mi hai dato metà, faccia di minchia». Rispetto al passato, però, qualcosa è cambiato: «Ora è diverso, perché io ho anche gente da pagare, il vigile, quello e quell’altro». Donatuti cerca di tagliare sull’agente di polizia municipale ma Dimartino ribatte: «100 euro devo darli al vigile, non scherzare su ‘ste cose. Non è come dici tu, ci vogliono».
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