I diritti umani visti dagli altri

Purtroppo non c’è alcuna oggettività a risolverci i problemi, non ci sono evidenze che tutti accettano, o che tutto spiegano. È, anzi, proprio la convinzione che ci siano che sta creando problemi sempre più grandi. Così, ad esempio, in Birmania qualche anno fa c’è stata una lunga discussione in Pagan tra una équipe di archeologi birmani e una di storici dell’arte francesi inviati dall’UNESCO. Naturalmente i francesi – in nome e per conto di valori riconosciuti dall’umanità – pretendevano che venissero immediatamente sospesi i lavori di costruzione di una cappella laterale di una grande pagoda del XIII secolo. Ma per gli stessi motivi i birmani sostenevano di doverla costruire. Non si trattava solo di uno scontro viziato dalla passata esperienza coloniale. Per i francesi la conservazione era tutta indirizzata verso l’edificio, per i birmani verso la funzione. Se in una pagoda che non ha cappella moderna i fedeli non vanno, è conservazione – si chiedevano i birmani -consegnarla alla morte della museificazione? È proteggere Pagan consegnarla al turismo internazionale impedendo ai fedeli di depositare presso le statue dell’Illuminato – come tradizione vuole – ninnoli di plastica, foglie d’oro di plastica, fiori finti e profumi da poco conto, confezioni di riso pronte al consumo?

I diritti umani: quando si parla di arte e architettura, coinvolgono sensibilità diverse, storie diverse, culture diverse. E, certo, crea un qualche imbarazzo sentirsi rinfacciare dai cinesi che i diritti umani presentati dagli occidentali
sono solo uno schermo per continuare a fare quello che vogliono. Detta così è inaccettabile, soprattutto se giunge da un paese che non conosce la minima democrazia interna, elezioni, ecc. Ma, se si accetta di ascoltare,
il quadro diventa molto complesso. E allora: negli anni ’30 uno studioso americano portò via dalla grande galleria di pitture murali di Dunhuang alcuni metri quadrati di pregevoli dipinti del V-VII secolo. Dunhuang era già un monumento protetto, venerato sia in Occidente che in Oriente. I dipinti finirono nel museo di una prestigiosa università del New England e da allora vengono richiesti, formalmente, quasi ogni anno. E ogni anno negati.
E certo tutto questo è imbarazzante, sebbene comprensibile. Ma d’improvviso la sensibilità cinese sale alle stelle quando quello stesso ministero americano che non aveva dato via libera al procedimento per il rimpatrio dei dipinti murali rubati pretende che vengano multati coloro che in Cina hanno copiato il brevetto di software della stessa università americana. È imbarazzante, ed anche difficile, spiegare in base a quale rispetto dei diritti umani il dipinto del VII secolo può essere rubato e un software degli anni ’90 no. I cinesi hanno l’impressione che a parti invertite il dipinto sarebbe già rientrato da decenni in Cina. Sbagliano?

I centri di Londra e Parigi: meraviglie d’arte, di cultura. Mete turistiche prestigiose e affascinanti. E così una passeggiata nel centro di Londra, così come una passeggiata nel centro di Parigi riportano a quel momento magico per le due città in cui cultura e ricchezza, potenza e amore per il bello generarono il volto di queste nuove metropoli. Quale meravigliosa centralità dell’uomo in questi spazi che richiamano la grandezza
di Roma e dell’Impero ma si offrono ormai con decisione crescente a un nuovo linguaggio più libero, più moderno, borghese. A un’arte nuova, all’Art Nouveau. E così si passeggia in ambienti che conosciamo anche senza averli mai studiati perché… perché li conosciamo attraverso Proust, gli Impressionisti, le prime fotografie dell’inizio del secolo, le repliche ossessive dei poster, dei manifesti, della canzoni. Tuttavia, ancora una volta, il cinese che cammina di fianco a noi ci guarda e non riesce né a sorridere né ad essere contento. Nota le date di costruzioni degli edifici, le targhe che commemorano l’anno di fondazione e quasi istintivamente dice “Ma questi sono stati costruiti coi soldi rubati alle colonie, coi soldi dell’India e della Cina!”

Nazionalismo eccessivo, nazionalismo patetico. Come è reattivo questo nostro amico cinese! Ma poi, dopo un po’, uno si trova a chiedersi…. Possibile che nessuna guida, nessun libro turistico, nessun manuale per esploratori del patrimonio artistico londinese parigino ricordi tutto questo? Di quali diritti umani si sta parlando? L’uomo di cui stiamo parlando che dimensioni ha se in tutta Parigi e in tutta Londra nemmeno una targa serve a ricordare ai turisti le migliaia di persone morte in miniera, per mare, nei campi lavorando per le potenze coloniali?
Di quali diritti umani stiamo parlando quando una scolaresca italiana in viaggio premio a Londra può saltare da un luogo all’altro, da una piazza all’altra, da una mostra all’altra senza nemmeno sapere – nemmeno per sbaglio – che tutto questo venne costruito grazie ai proventi del commercio di oppio, oggi si direbbe spaccio di droga? Quanti miliardi di sterline del tempo affluirono alle casse della regina Vittoria, all’erario della “molto cristianissima e molto nobilissima corona d’Inghilterra” grazie allo spaccio di droga nei porti e nelle città della Cina? È rispetto dei diritti umani non ricordarlo, tacerlo? E ancora: è rispetto dei diritti umani narrare l’epopea del West in migliaia di film e romanzi, dipinti e foto e fingere che i cinesi non ne siano mai stati parte integrante? È rispetto per i diritti umani cancellarli, non citarli, come se non fossero stati loro, ma un qualche genio della lampada, a costruire e gettare sul terreno le migliaia di chilometri della ferrovia che unì le due coste? Quale rispetto dei diritti umani è cancellare questa storia, negare i pogrom nel Colorado, nella California: quelle mattanze di cinesi compiute da folle inferocite perché I gialli rubavano lavoro ai bianchi e si facevano pagare di meno?

Poi – sì, certo, naturalmente – esistono anche le particolari differenze che rendono non comunicanti la cultura cinese e quella occidentale. Ovvero quelle differenze di sistema e di valori che rendono un diritto umano molto sentito in Europa e poco sentito in Cina, o viceversa. Tuttavia, prima di scomodare l’antropologia, l’etnologia, il confronto tra massimi sistemi, la semeiotica ed altro ancora, gioverà talora fermarsi un attimo e riflettere sulla presunta oggettività delle nostre affermazioni. Forse non sarà possibile sposare per intero la logica e il punto di vista cinese, eppure se ne riconosceranno le molte e valide ragioni che lo sostengono.

(Pubblicato sulla rivista Domus n. 916 – Copyright Editoriale Domus S.p.A.)

*Stefano Cammelli, storico dell’età contemporanea, insegna all’Università di Bologna. Frequenta e studia da oltre vent’anni il variegato mondo cinese. È presidente dell’associazione Viaggi di cultura e ha pubblicato, tra l’altro, Storia di Pechino e di come divenne capitale della Cina (Bologna 2004) e Il minareto di Gesù (Bologna 2005). Cura un sito di informazione e approfondimento sulla Cina: www.polonews.info

 


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