«La stessa cosa è successa all’epoca con la mucca pazza. Una volta tu la carne la mangiavi solo la domenica e la trovavi buona. Ora è diventata per tutti, e quelli hanno dovuto trovare la soluzione». L’eccessiva domanda minaccia la qualità e ciò vale anche per la cocaina. A sostenerlo è uno dei 16 arrestati del blitz eseguito mercoledì dal Gico della finanza di Messina, nell’ambito di un’inchiesta della procura peloritana su un traffico di droga che si sviluppava tra Catania e Giardini Naxos. La cittadina costiera sarebbe stata la destinazione finale per le forniture provenienti dal capoluogo etneo e dai centri della provincia. Marijuana e soprattutto cocaina che avrebbero avuto mercato anche nelle fasi più calde del primo lockdown. A fare da anello di congiunzione tra i fornitori e i pusher dediti alla vendita al dettaglio sarebbero stati Giuseppe Ragusa e Alessandro Maccarone. I due sono ritenuti i promotori dell’associazione a delinquere bloccata dai militari della finanza.
L’indagine, avviata nel 2019, ha permesso di aprire uno squarcio anche sulle non rare occasioni in cui gli stupefacenti rappresentano una minaccia non solo per gli effetti sulla salute derivanti dal loro consumo, ma anche per le sostanze utilizzate per tagliare la droga, con l’intento di ridurne il quantitativo utilizzato e massimizzare i profitti. E se il frequente ricorso alla mannite – lassativo per bambini – per tagliare la cocaina è risaputo, così come l’ammoniaca per la marijuana, gli inquirenti si sono trovati anche con un caso in cui la sostanza aggiunta è risultata essere un veleno per topi. «Compare, non toccare più caffè assolutamente», è la frase pronunciata da Maccarone a giugno 2020. L’uomo, gli inquirenti non ne hanno dubbi, avrebbe utilizzato uno dei tanti riferimenti criptici per parlare di droga. In questo caso, però, la comunicazione non sarebbe nata dall’esigenza di contrattare forniture, ma per mettere in guardia un altro consumatore, dopo che lo stesso Maccarone era stato male per avere consumato cocaina adulterata. «Maccarone – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Monia Di Francesco – risulta essere stato ricoverato per una pancreatite acuta dovuta all’assunzione di cocaina tagliata con sostanze nocive. Spiegava al suo interlocutore di essere stato costretto a rivelare ai medici di avere assunto sostanza stupefacente».
Il giro di droga che interessava Giardini Naxos avrebbe visto protagonisti soggetti appartenenti a diversi gruppi criminali. Dal già citato Ragusa, ritenuto membro storico del clan Cintorino, a Lucio Giovanni Faro e Nello Torrisi, il primo considerato vicino ai Laudani, di cui invece il secondo è uno storico appartenente con ruoli di vertice nel territorio di Aci Sant’Antonio. A finire in carcere sono stati anche Alessandro Marino, dai magistrati ritenuto contiguo ai Cappello, e Christian Santapaola. Quest’ultimo, titolare a Sant’Agata Li Battiati di un negozio di prodotti alimentari destinati ai frequentatori delle palestre, sarebbe stato uno dei fornitori. Proprio Marino e Santapaola sarebbero stati – stando alla ricostruzione effettuata tramite le intercettazioni – coloro che avrebbero trattato la cocaina mescolata al veleno per topi. Un altro soggetto arrestato e considerato legato alla criminalità organizzata catanese è il 45enne Giuseppe Borzì, detto u cinisi, anche lui tra i fornitori delle sostanze stupefacenti, così come il pluripregiudicato di Taormina Carmelo Pelleriti. La droga sarebbe passata anche dal 40enne Maurizio Cipolla. La giudice per le indagini preliminari ha disposto la misura cautelare anche per la 37enne Anna Franco, la 31enne Dahab Menzouli, il 48enne Giuseppe Ferro, il 44enne Settimo Manera, il 38enne Stefano Panarello e il 55enne Roberto La Spina.
La lista delle persone finite in carcere è completata da Rosario Costanzo. Sessantadue anni, Costanzo è l’uomo da cui è partita l’indagine. A fare il suo nome, indicandolo come un referente della famiglia Santapaola a Giardini Naxos, è stato il collaboratore di giustizia Carmelo Porto. Ai magistrati lo ha descritto come una figura attiva nella riscossione delle estorsioni, i cui proventi sarebbero stati poi recapitati al gruppo catanese di Picanello. Stando alle parole di Porto, il pizzo sarebbe stato imposto a chi lavorava in mare. «I pescherecci che scaricano il pesce devono lasciarne una parte anche a noi – ha messo a verbale il collaboratore di giustizia -. Il pesce che loro ci lasciavano lo vendevamo da altre parti. In esecuzione di questo accordo per due volte abbiamo ricevuto pescespada e tonno e lo abbiamo rivenduto. Si era deciso che dovevamo ricevere soldi anche dalle barche che portano in giro i turisti: doveva ritirare tali soldi Costanzo, per importi di cinquecento-mille euro, che a fine stagione ciascun proprietario avrebbe dovuto consegnare perché venissero divisi tra noi». Lo spunto investigativo, tuttavia, non ha portato a esiti concreti e gli inquirenti non hanno trovato elementi per sostenere che Costanzo fosse coinvolto in attività estorsive. È stato, però, seguendolo che i finanzieri hanno scoperto il traffico di droga.
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