“Grandi eventi”, Fausto Giacchetto è fuori, ma gli altri sono ancora tutti lì…

Più da lettori che da giornalisti, seguiamo l’evoluzione dell’inchiesta della magistratura sui cosiddetti “Grandi eventi”. Siamo convinti che questa sia, con molta probabilità, una delle vicende di corruzione più importanti nella Sicilia degli ultimi vent’anni. Perché se c’è un filone di spesa pubblica che, dalla seconda metà degli ani ’90 fino ad i nostri giorni, non si è mai prosciugato, ma è anzi cresciuto a dismisura, ebbene, questo è il settore della comunicazione.

Non è un caso che la magistratura, partendo – giustamente – dal turismo, sia arrivata al Ciapi, un ente regionale di formazione professionale che, nei primi anni del 2000, era diventato un centro di spesa con al centro la comunicazione.

Se l’inchiesta andrà avanti, scandagliando tutti i settori dell’amministrazione regionale, verranno fuori altre storie, dall’agricoltura alla pesca, dalle attività produttive al commercio e via proseguendo con le attività di comunicazione delle nove Province e dei Comuni (con riferimento, soprattutto, ai grandi Comuni dell’Isola).

Detto questo, quello che colpisce non tanto di questa inchiesta, quanto di tutto quello che ci sta attorno, è la continuità di un metodo che non sembra essere stata scalfita. Mentre scriviamo, tutto, in Sicilia, in materia di ‘stile’ della comunicazione pubblica è rimasto tale e quale.

E’ interessante notare – e questo è un elemento che prescinde dall’inchiesta della magistratura – che il mondo dell’informazione, nella nostra Isola, negli ultimi dieci anni è profondamente cambiato. Ma i metodi che sovraintendono alla distribuzione della pubblicità istituzionale sono sempre gli stessi.

Se nel passato – per citare l’esempio dei quotidiani cartacei dell’Isola – la distribuzione della pubblicità istituzionale rifletteva una situazione di fatto, che vedeva la presenza dominante di alcuni quotidiani (Giornale di Sicilia, La Sicilia e Gazzetta del Sud, con una piccola e ‘fastidiosa’ presenza del quotidiano L’Ora di Palermo, che chiuderà i battenti nel maggio del 1992, a cui si aggiungeranno, saltuariamente, piccole iniziativa e, in ultimo, l’edizione siciliana de la Repubblica), la situazione odierna è molto cambiata, con la presenza di tante voci on line.

La presenza di una pluralità di voci consiglierebbe l’adozione di una ‘griglia di regole’ (peraltro facilitate dal fatto che oggi, nella stampa on line, è possibile monitorare non soltanto il numero di contatti e le pagine lette ogni giorno, ma anche la qualità dei contatti).

Invece tutto continua ad essere affidato alla discrezione e, sempre più spesso, all’arbitrio di chi maneggia il denaro pubblico.

La verità è che la politica siciliana rimane quasi del tutto refrattaria ad ogni forma di gestione ordinata e corretta delle risorse pubbliche destinate alla pubblicità istituzionale. I politici si sciacquano continuamente la bocca con parole come “legalità”, “giustizia”, correttezza”, “trasparenza” e bla bla bla. Nella realtà a dominare sono ancora discrezionalità e, soprattutto, arbitrio. La cultura mafiosa, nella politica siciliana e nella gestione della pubblica amministrazione è dura a morire.

Di fatto, è inutile girarci attorno, l’assenza di regole – che pure sarebbero semplici e di semplice applicazione – farebbe venire meno il sistema delle tangenti ai politici e la connivenza ‘incestuosa’ tra politica e informazione.

In fondo, il ‘sistema’ adottato da Fausto Giacchetto è solo il corollario, se vogliamo portato alle estreme conseguenze, di un metodo, di una concezione del denaro pubblico da utilizzare per la comunicazione più o meno istituzionale che, piaccia o no, rimane la regola generale.

Del resto, trovato il capro espiatorio – Giacchetto, per l’appunto – non notiamo grandi cambiamenti. Gli stessi personaggi che orbitavano attorno a Giacchetto – e che, a nostro modesto avviso, non erano affatto ‘vittime’ del sistema, ma protagonisti di questo mondo – sono ancora ai propri posti.

Altra questione: gli importi delle tangenti. Da quello che abbiamo letto in queste settimane siamo rimasti colpiti da alcune dichiarazioni. Con riferimento non tanto ai nostri giorni – ormai caratterizzati da una Regione siciliana praticamente al fallimento – ma al periodo che va dal 2003 al 2010, ci ha sorpreso leggere che il ‘sistema’ di allora consisteva nell’erogare a un assessore regionale dell’epoca 5 mila euro.

Ragazzi: 5 mila euro, in quegli anni, si spendevano per un fine settimana a Taormina. Francamente, per i soldi che giravano allora, a noi certe cifre sembrano piuttosto sottostimate.

Ultima notazione per il segretario generale della presidenza della Regione, dottoressa Patrizia Monterosso. Tirata in ballo da alcune dichiarazioni riportate dalla stampa, la dottoressa Monterosso ha annunciato querela. E ha ragione. Perché se le affermazioni risultassero vere, a differenza di quanto ha affermato il presidente della Regione, Rosario Crocetta, l’attuale segretario generale della presidenza della Regione sarebbe nei guai fino al collo.

A metterla nei guai, paradossalmente, sarebbe il parere sui dirigenti esterni alla Regione espresso da una persona a lei vicina, l’avvocato Claudio Alongi, là dove si afferma che dirigenti interni ed esterni all’amministrazione godono degli stessi diritti e, supponiamo, sono vincolati dagli stessi doveri.

Un dirigente regionale, stando al codice etico di comportamento, non può accettare in regalo fine settimana da imprenditori; e non può nemmeno partecipare a riunioni su bandi di gare con fondi pubblici convocate negli uffici di imprese private. Tutte cose alle quali, ne siamo certi, la dottoressa Monterosso è estranea.

Perché nei comportamenti di un dirigente pubblico i problemi non arrivano solo da fatti penalmente rilevanti, ma anche da comportamenti non in linea con un preciso codice etico.


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