“Non sono un esperto, ma così non va”: esordisce così Fabio Granata all’incontro sul futuro dell’Università organizzato dalla Facoltà di Lingue di Catania. “Perché se i tagli orizzontali sono deleteri, dei principi di rinnovamento generali sono indifferibili”.
Onorevole, durante il suo intervento ha parlato di una opposizione ai tagli della 133 anche all’interno della maggioranza, opposizione di cui ha fatto parte. Questo vuol dire che non ha votato a favore?
No, significa che c’è stato un provvedimento che è la 133, la prima finanziaria in cui questi tagli sono stati prodotti, poi si è avviato un dibattito attraverso atti concludenti delle commissioni competenti, come la settima commissione parlamentare che ha come competenza la cultura e l’università. Lì abbiamo posto come condizione per l’approvazione del decreto il ripristino dei fondi sul diritto allo studio, quindi sulle borse di studio, sulle residenze universitarie e il ripristino dei fondi per la ricerca.
Quindi sono stati fatti i tanto auspicati “passi indietro”…
Si è trattato di una necessità che abbiamo sottolineato non solo in sede di maggioranza, ma anche insieme a molti settori dell’opposizione: la riforma deve passare attraverso delle linee giuda, che sono state pubblicate dal Ministero, e soprattutto facendo un percorso condiviso col mondo dell’università. Quello che voglio sottolineare è che un’Università che crede che il sistema così com’è concepito possa andare avanti fa definitivamente uscire i ragazzi da un orizzonte di inserimento del mondo produttivo, perché si rischia che l’università pubblica non riesca più a competere con quelle private, che hanno più risorse e più fondi e dove solitamente vanno le classi più abbienti della società italiana.
Si parla di eliminare molte delle sedi decentrate che spesso hanno numeri di frequentanti o anche iscritti relativamente piccoli. Ma secondo quali criteri si stabilisce che un’università decentrata debba sopravvivere e un’altra no?
Con gli stessi criteri con cui si deve stabilire se una gestione di un’università è trasparente e accorta. Con gli stessi criteri con cui attraverso l’anagrafe dei professori, delle pubblicazioni, si deve stabilire se un professore, un ordinario, è all’altezza di gestire un corso. Se automaticamente ogni due anni deve avere un adeguamento della sua indennità, oppure se deve essere giudicato in base alle sue pubblicazioni. Nelle linee guida ci sono una serie di passaggi necessari per riformare l’università italiana perché così è un sistema che non può andare avanti.
Ma ci sono anche dei problemi geografici, di distanze da colmare.
Questo è un problema diverso. Innanzitutto molte delle sedi decentrate, soprattutto quelle siciliane sono finanziate direttamente dagli enti locali. Ci sono delle facoltà che hanno senso, cioè che costruiscono percorsi di formazione secondo una idea di sviluppo molto legata al territorio, penso ad architettura a Siracusa, che è un esempio virtuoso. Però è anche vero che nessuno deve pensare che l’università debba essere “sotto casa”. È un sistema che non regge più.
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