«La colpa non è solo dei ragazzi, servirebbero più occasioni di formazione a partire dai social», afferma Stefania Iannizzotto, ricercatrice che cura la pagina Facebook dell'Accademia fiorentina. «Non sanno gestire i registri comunicativi. Qualcuno mi dice "Ho fatto un troiaio" per dire che ha sbagliato un compito scritto», le fa eco la collega Vera Gheno
Gli universitari e l’«analfabetismo funzionale» La Crusca: «Stessi problemi da Nord a Sud»
«Gli studenti toscani padroneggiano meglio il congiuntivo e non rischiano forti interferenze dialettali, ma i testi che ho letto a Catania e Firenze, alla fine, hanno le stesse caratteristiche». Stefania Iannizzotto è una linguista siciliana fermamente convinta che, se all’università fioccano le «e» senza accento, la colpa non sia soltanto dei ragazzi. Dal 2010 svolge la sua attività di ricerca a Firenze, presso l’Accademia della Crusca, attualmente ne gestisce la pagina Facebook e nel 2003 si trovava in cattedra per il primo laboratorio di italiano scritto della facoltà di Lettere di Catania. «Ricordo bene i test di ingresso, rivelavano tante incertezze: ortografiche, lessicali e anche testuali; – racconta – le prime spesso dovute a fenomeni di ipercorrettismo o all’interferenza dialettale, le altre a una disabitudine alla scrittura e soprattutto alla lettura».
Ma in riva all’Arno le difficoltà nel mettere i pensieri nero su bianco sono esattamente le stesse: «Superficialità, poca cura ortografica, scarsa pianificazione, difficoltà a trovare le parole giuste e articolare periodi complessi», spiega Iannizzotto. Lo pensa anche Vera Gheno, anche lei in Crusca, docente del laboratorio di italiano scritto all’università di Firenze e curatrice della pagina Twitter dell’Accademia. I suoi studenti hanno «fortissime difficoltà a organizzare un pensiero complesso su carta» e «grandi problemi a passare da un registro comunicativo all’altro». Capita così che qualcuno usi in sua presenza l’espressione «“Ho fatto un troiaio” per dire che ha sbagliato un compito scritto».
Sicuramente non è facile produrre un testo come la tesi di laurea al termine di tre anni di esami per lo più orali: «I miei studenti si lamentano di non avere abbastanza occasioni per scrivere all’università e sono felici di incontrare il laboratorio di Italiano Scritto», continua Gheno. Che, a tal proposito, sottolinea: «Se non si scrive, si disimpara anche a scrivere». Se difficilmente prendono in mano la penna tra una materia e l’altra, d’altro canto gli universitari di oggi scrivono continuamente nel contesto informale dei social media e, per Stefania Iannizzotto, questa «palestra di un certo tipo di testi» – generalmente meno curati e articolati – potrebbe rappresentare un buon punto di partenza: «Bisognerebbe offrire più occasioni di formazione, magari partendo proprio da esperienze di scrittura più familiari ai ragazzi».
Nessuna demonizzazione di Facebook e Twitter, dunque, per l’Accademia della Crusca «i social non sono né la terra promessa della scrittura, né il segno della decadenza culturale dei giovani: sono solo uno dei tanti stili comunicativi che le persone dovrebbero avere», sostiene Vera Gheno. Che continua: «Si tratta di un ambito comunicativo in cui sicuramente la scrittura ha un ruolo importantissimo, ed è una forma scrittoria particolare che richiede velocità, immediatezza e capacità di sintesi. Poi però ci sono mille altre situazioni in cui si deve saper scrivere diversamente».
È per questo che, agli allarmi di analfabetismo dilaganti, la docente preferisce la nozione di «analfabetismo funzionale, che è ciò che non permette a una persona di far parte in maniera completa e soddisfacente della odierna società dell’informazione». Ma i problemi di una matricola vengono, a rigore, da più lontano. Per Alessandra Canali, docente di scuola secondaria coinvolta nelle attività della Crusca, «anche a scuola le occasioni di scrittura sono poche: manca il tempo. «Quattro ore di italiano non bastano, specie quando ai ragazzi si deve insegnare a fare un riassunto, una relazione, un tema e poi il saggio breve – spiega -. E, nel contempo, insegnare la riflessione metalinguistica, un po’ di letteratura, il confronto con l’attualità, l’uso delle doppie, delle maiuscole, dell’h, eccetera».
A suo avviso, «l’università dovrebbe davvero confrontarsi con la scuola in progetti condivisi ed efficaci», perché «le iniziative estemporanee non servono a nulla». A maggior ragione se gli sviluppi recenti della sua esperienza scolastica non sono incoraggianti: «Negli anni, specie nell’ultimo quinquennio, avverto una caduta nelle capacità di base degli studenti: leggere e argomentare compiutamente, scrivere testi minimamente articolati e così via non sono più abilità così scontate», avverte.