Una «devastante capacità a delinquere» che li avrebbe fatti imporre nel mercato del narcotraffico «assumendo una posizione di assoluto protagonismo». Sono le parole contenute nell’ordinanza di custodia cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari Sebastiano Di Giacomo Barbagallo tratteggia il profilo di Rosario Salemi e Giuseppe Iacono. I due poliziotti della Squadra mobile […]
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Gli agenti e i favori al clan del Bronx di Siracusa. «Ogni quaranta giorni gli consegnavamo 2000 euro»
Una «devastante capacità a delinquere» che li avrebbe fatti imporre nel mercato del narcotraffico «assumendo una posizione di assoluto protagonismo». Sono le parole contenute nell’ordinanza di custodia cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari Sebastiano Di Giacomo Barbagallo tratteggia il profilo di Rosario Salemi e Giuseppe Iacono. I due poliziotti della Squadra mobile di Siracusa finiti al centro di un’inchiesta su droga e corruzione nel capoluogo aretuseo. Un mondo capovolto, secondo i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, in cui gli agenti avrebbero fatto affari d’oro con i clan sfruttando la divisa, le conoscenze nei palazzi di giustizia e quelle con alcuni dei personaggi più illustri nel panorama delle piazze di spaccio siracusane. Insieme a Salemi e Iacono, entrambi finiti in custodia cautelare dietro le sbarre, sono scattati gli arresti domiciliari per la viceispettrice di polizia Claudia Catania e per il 50enne, originario di Noto, Vincenzo Santonastaso. L’elenco degli indagati comprende però dieci persone in tutto e tra queste figura anche un brigadiere dei carabinieri, in servizio fino al 2021 al nucleo investigativo di Siracusa del comando provinciale dell’Arma.
«Lo chiamavamo Savastano perché era fissato con la serie tv Gomorra, tanto che aveva arredato la sua casa in modo sfarzoso e aveva la barba bianca come il personaggio televisivo». A fine maggio 2021 Francesco Cesco Capodieci mette nero su bianco l’ennesimo verbale della sua collaborazione con la giustizia. L’ex re del Bronx, zona a nord di Siracusa in cui c’è una delle più importante piazze di spaccio della città, punta il dito contro Salemi e Iacono. Ai magistrati racconta di «mangiate», incontri «in via Avola» e altre decine di aneddoti riguardanti i poliziotti. Davanti ai magistrati ripercorre un percorso iniziato qualche anno prima da confidente. «A loro dal 2013 al 2018 avrò dato 100mila euro – racconta il collaboratore parlando dei poliziotti -, oltre a molti regali». Soldi, anche per comprare una macchina Bmw a Noto, una cintura Gucci e un piumino smanicato Moncler in cambio, secondo i pm, di informazioni riservate e forniture di droga. Lo stupefacente sequestrato durante blitz e perquisizioni sarebbe stato sostituito, anche con mattoni al posto dei panetti, e rivenduto dai poliziotti al clan guidato da Capodieci. «Compravamo la cocaina a 40 euro al grammo – spiega – mentre l’hashish a 1,60 o 1,70 euro. Nella piazza del Bronx rivendevamo la cocaina a 100 euro al grammo e l’hashish a 5 euro».
«Dal 2015 al 2017 – continua il collaboratore – ogni quaranta giorni consegnavo a Salemi 2000 euro. Ci conveniva visto che ci avvisava di tutte le attività di polizia, carabinieri e guardia di finanza». Un giorno, stando alle accuse del collaboratore, Iacono si sarebbe presentato al terzo piano di uno stabile di via Marco Costanzo, a Siracusa. Il poliziotto avrebbe chiesto ai presenti di stare in silenzio così da evitare guai: «Ha aperto il frigorifero – continua il collaboratore – provvedendo a indicare il luogo in cui era piazzata la cimice che poi noi abbiamo trovato ed eliminato. La microspia era stata messa tre giorni prima durante una perquisizione dei carabinieri». Le informazioni riservate che sarebbero state passate a Capodieci e soci però non riguardavano soltanto cimici e localizzatori gps. Il gruppo del Bronx nel 2018, per esempio, sarebbe stato avvertito dal carabiniere infedele di un imminente blitz. In un’altra occasione, la soffiata preventiva avrebbe evitato il sequestro di un quantitativo di droga.
Capodieci però non decide subito di parlare con i magistrati, come poi avvenuto nel 2021, ma avrebbe maturato questa volontà in maniera graduale, a partire dal 2020. In mezzo i timori, a suo dire, legati alle possibili ripercussioni nei confronti della propria famiglia. La stessa, secondo la ricostruzione dei pm, su cui i poliziotti avrebbero fatto pressioni affinché limitassero l’eccessiva intraprendenza di un brigadiere dei carabinieri, intenzionato a spingere l’uomo verso la collaborazione con la giustizia. Ma anche davanti alla volontà di pentirsi, secondo i pm, gli agenti infedeli avrebbero suggerito la strada da seguire, ossia gestire in prima persona la collaborazione evitando così di ritrovarsi con il dito puntato contro. Uno schema intimidatorio che, secondo le carte dell’inchiesta, nel 2013 aveva evitato ai poliziotti problemi con un altro pentito.