Una carriera durata 47 anni e passata attraverso la procura di Caltanissetta negli anni delle inchieste sulle stragi di Capaci e via D'Amelio. Ma anche dal Dap nel 2004, quando la Federazione anarchica informale gli invia un pacco con esplosivo, chiodi e schegge di metallo. «Servitore dello Stato», lo definiscono i più
Giustizia, è morto il magistrato Giovanni Tinebra Ex procuratore generale, ha indagato sulle stragi
Era andato in pensione nel 2014, dopo 47 anni di carriera nella magistratura. Giovanni Tinebra, ex procuratore generale alla corte d’Appello di Catania, è morto ieri nel capoluogo etneo. Nato a Enna, aveva 76 anni e più della metà della sua vita l’ha spesa all’interno dei Palazzi di Giustizia. Il primo è quello di Caltanissetta, dove si trova dal 1992 al 2001: sono gli anni delle stragi di mafia e delle inchieste che le riguardano. È nel Nisseno che Tinebra è titolare dei fascicoli su quelle di Capaci e di via D’Amelio, in cui perdono la vita – tra gli altri – i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Indagini a seguito delle quali si scontra con le prime polemiche della sua carriera: l’uso delle dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino, successivamente ritenuto inaffidabile.
Dopo Caltanissetta Tinebra passa al Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, che dirige dopo il collega magistrato Giancarlo Caselli. E anche quello è un momento difficile: nel 2004 alcune lettere firmate dalla Federazione anarchica informale rivendicano gli attentati nei confronti del magistrato ennese. L’1 aprile in un ufficio postale di via Arcelli, a Roma, vengono bloccati due pacchi contenenti esplosivo, chiodi, viti e schegge di metallo. Uno è indirizzato a Tinebra, l’altro a Sebastiano Ardita, che in quel momento è a capo dell’Ufficio detenuti. Al quotidiano La Repubblica che gli chiede un commento, Giovanni Tinebra risponde: «Non me ne può fregare di meno, faccio il mio lavoro come sempre e non ho alcuna paura». Al suo lavoro di quegli anni fa riferimento un’indagine conoscitiva del Copasir a proposito di due operazioni che avrebbero avuto al centro i servizi segreti italiani e i boss mafiosi.
Nel 2006 lascia il Dap e torna in Sicilia. Il Consiglio superiore della magistratura lo nomina, all’unanimità, procuratore generale alla Corte d’Appello di Catania. Nel frattempo diventa vicepresidente di Magistratura indipendente, una delle più antiche correnti, certamente la più moderata, all’interno dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). È nel capoluogo etneo che Giovanni Tinebra conclude la sua lunga carriera. Dopo il pensionamento dell’ex procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata (che oggi riveste il ruolo di commissario straordinario del Comune di Aci Catena, dopo l’arresto e le dimissioni dell’ex sindaco Ascenzio Maesano), Tinebra corre per il vertice della procura catanese assieme a Giuseppe Gennaro e a Giovanni Salvi.
Nel 2014, il Csm lo sottopone a un procedimento disciplinare per alcune presunte pressioni che avrebbe fatto per essere designato per il ruolo che, invece, va a Salvi. Una scossa in una carriera che, quell’anno, si avvia alla pensione. Poco dopo diventa presidente della commissione tributaria provinciale di Catania. Il governo regionale del presidente Rosario Crocetta lo ha nominato a capo dell’Urega della provincia di Catania, l’ente che gestisce gli appalti pubblici di valore superiore ai due milioni di euro. In queste ore sono numerosi i messaggi di cordoglio legati alla scomparsa del magistrato. I più lo definiscono «servitore dello Stato» e giudice rigoroso.