Giuseppe C. insegnante… al Banco alimentare

I personaggi di questo racconto appartengono alla fantasia (o quasi).

“E’ vero, forse un fatto male i calcoli. E la cosa mi deprime un po’, visto che, per tanti anni, ho insegnato materie scientifiche. Però non mi pento di essere tornato in Sicilia dopo aver vissuto per tanti anni al Nord. Non mi pento di avere investito quasi tutta la liquidazione per regalare la casa a mio figlio. Così come non mi pento di avere contratto un mutuo per pagare la casa che ho acquistato e che, un giorno, andrà a mia figlia. Certo,considerato che ho mia moglie a carico scontiamo qualche problema.Ma non mi sembra la fine del mondo. Nella vita ci sono cose più gravi”.
Giuseppe C. ha compiuto da poco settant’anni. Porta bene l’età. Non altrettanto può dirsi della moglie, colpita da una malattia invalidante che la costringe a casa.
“Ovviamente – ci dice – non ci possiamo permettere la badante. Me ne occupo io. E lo faccio con piacere. Stiamo insieme da una vita. Il prossimo anno, a Dio piacendo, festeggeremo cinquant’anni di matrimonio. Per l’occasione i nostri due figli – entrambi sposati ed entrambi all’estero – torneranno in Sicilia. Sarà una grande festa”.
Perché parliamo di Giuseppe C.? Ci siamo conosciuti per caso. In fila, presso la cassa di un hard discount. La cassa era bloccata. Così ci siamo messi a parlare. Del più e del meno.
Ci siamo rivisti circa una settimana dopo. Sempre all’hard discount. Avevo tra le mani uno studio sui consumi delle famiglie in Italia. Così, prendendo spunto da questo scritto zeppo di numeri e cifre, abbiamo approfondito la nostra conoscenza. Siamo entrati in sintonia. Con naturalezza. E, sempre con naturalezza, mi ha confessato che, lui e sua moglie, da qualche tempo, la quarta settimana del mese vanno in tilt. In pratica, rimangono senza soldi.
“Le abbiamo provate tutte, mi creda: ma non ci arriviamo più. Il colpo di grazia ce l’ha assestato la malattia di mia moglie. Per alcuni farmaci paghiamo il ticket: ed è già una bella botta. Qualche altro farmaco da banco dobbiamo pagarlo. Cifre, tutto sommato, contenute. Ma per noi, nell’ultima settimana del mese, dieci euro in più diventano un problema”.
Giuseppe C. ci racconta che la sua pensione arriva a mille e 600 euro. “Mi restano da pagare gli ultimi quattro anni del mutuo. Sono mille euro al mese. Io e mia moglie, da soli, con la casa, pensavamo di farcela con 600 euro al mese. E per due anni, risparmiando un po’, ce la siamo cavata. Senza problemi. Poi è arrivata la malattia…”.
“Lo so – aggiunge – devo chiedere la rinegoziazione del mutuo. Per abbattere la rata del trenta o quaranta per cento. All’inizio mia moglie si è opposta. ‘Ce la faremo lo stesso’, mi ha detto. Invece non ce la facciamo proprio. Ho già chiesto notizia in banca. La prossima settimana mi aiuteranno a trovare una soluzione. Devo ridurre la rata del mutuo. Non ho alternative. Anche perché mi sono stancato di fare questa vita”.
I problemi si presentano nell’ultima settimana. “Un mese fa, per una spesa imprevista, siamo entrati in crisi nella penultima settimana. E’ stato bruttisimo. Volevo telefonare ai miei figli. Per farmi inviare un vaglia. Poi ho pensato che anche loro non se la passano bene. Lavorano, ma non navigano nell’oro. Mia figlia ha tre figli, mio figlio due. Anche loro, mi raccontano, vanno avanti con difficoltà. Con che faccia avrei chiesto i soldi a loro?”.
“Vuole sapere che ho fatto? Anzi, vuole sapere quello che faccio da un mese a questa parte, nell’ultima settimana del mese? Non mi vergogno a dirlo: mi reco al Banco alimentare. Non ogni giorno, è chiaro. Nell’ultima settimana vado almeno un paio di volte. Sono gentili. Alla mano. Certo, se vent’anni fa mi avessero detto che mi sarebbe finita così non ci avrei creduto. Però, debbo dirlo, non è la fine del mondo. Ci sono tanti poveri in canna che se la passano molto peggio di me e di mia moglie. Gente che non ha nemmeno gli occhi per piangere. Ma ci sono anche persone come me, che vanno lì l’ultima settimana del mese. Insomma, lo ripeto, non è la fine del mondo. Bisogna adattarsi. Pazienza”.
“Ho fatto amicizia con un ex dipendente di un ente pubblico che è nelle mie stesse condizioni. Anzi, a pensarci bene, se la passa peggio di me. Mia moglie, a casa, bene o male si muove. La moglie di questo signore non è più autosufficiente. Il dramma è che questo signore ha circa dieci anni meno di me. Mentre sua moglie ne ha dieci meno di lui. Ma lui non ne vuole sapere di portarla in un centro specializzato per questo tipo di malattie. Non si fida”.
“Lui e sua moglie vivono in affitto. Paga una badante dalle otto di mattina alle due del pomeriggio. Mi racconta che, della pensione, gli rimangono duecentocinquanta euro. Mi dice che risparmia sulla luce, sul gas e su tuto il resto.
“Sai – mi ha detto – ho smesso pure di fumare. Certo, non ho smesso per volontà, ma per bisogno. ma ho smesso di fumare lo stesso. Questo, almeno, è un fatto positivo, no?”.
Ma con tutti i sacrifici che fa, le ultime due settimane del mese rimane senza soldi. Si conserva cinquanta euro per gli imprevisti. E va al banco alimentare”.
“Scherzando mi dice che sono doppiamente fortunato. Dice che pago il mutuo e la casa, un giorno, sarà di mia e poi di mia figlia. E dice che, riducendo la rata del mutuo, non avrò più bisogno di andare al Banco alimenare. Ha ragione. Lui, invece, non può ridurre l’affitto. Il padrone di casa gli è già venuto incontro. Gli ha abbassato la pigione. Del trenta per cento. Alla fine, il suo padrone di casa è un galantuomo.
“Più di quello che ha fatto non può fare”, mi ha detto. Mi ha detto anche che non ha alcuna intenzione di lasciare la moglie in un centro.
“Non se ne parla nemmeno”, mi ha detto.

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Giulio Ambrosetti

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