Il procuratore generale avrebbe contattato uno dei consiglieri del Consiglio superiore della magistratura chiamato a votare per la nomina del capo dell'ufficio catanese, per cui anche Tinebra era in corsa. Una condotta giudicata dalla sezione disciplinare «gravemente lesiva dell'immagine di magistrato». Ma Tinebra, in un'intervista a Report sosteneva: «Non sono pressioni... il Csm funziona così»
Giovanni Tinebra a processo dal Csm Pressioni per l’elezione alla Procura etnea
Avrebbe chiesto aiuto per indurre il consigliere laico del Consiglio superiore della magistratura Ettore Adalberto Albertoni a sostenere la sua nomina come procuratore capo di Catania. Con questa accusa Giovanni Tinebra, procuratore generale etneo, sarà sottoposto tra due settimane a un processo disciplinare. Tinebra, si legge nel capo d’imputazione, avrebbe «fatto uso strumentale» della sua carica di pg «per conseguire un ingiusto vantaggio e condizionare il libero esercizio delle funzioni costituzionalmente previste» del Csm. Nello specifico avrebbe chiesto all’allora presidente della Banca popolare di Milano Massimo Ponzellini di caldeggiare la sua candidatura al consigliere leghista Albertoni. Un sollecito reiterato attraverso un uomo di fiducia di Ponzellini (indagato nel 2012 per finanziamento illecito ai partiti), Antonio Callinare. Lo scopo era quello di indirizzare «a proprio vantaggio, a seguito di pressioni di ambienti politico-finanziari del tutto estranei all’ordine giudiziario, la scelta dell’organo di autogoverno, in tale modo tentando di ottenere la nomina a procuratore della Repubblica di Catania».
Secondo l’accusa si tratta di una condotta «gravemente lesiva dell’immagine di magistrato», già emersa ma minimizzata durante un’intervista rilasciata al programma di inchieste di Rai Tre Report. «Tu hai un amico, gli parli dei tuoi problemi, non c’è niente di male», sosteneva il procuratore. Ponzellini, secondo Tinebra, non aveva in effetti nulla a che vedere con il mondo dei palazzi di giustizia. «Lui ha un sacco di amici, a un certo punto ha detto “Vabbè… dico io chi sei, illustro la tua personalità”». Ma, sosteneva il magistrato, «non sono pressioni… il Csm, si parte così, funziona così».
Tinebra era assieme a Giovanni Salvi e Giuseppe Gennaro in corsa per la successione di Vincenzo D’Agata. Una vacatio lunga otto mesi, avvelenata da non poche polemiche. Quella relativa a Giovanni Tinebra riguarda le prime indagini sulle stragi di Capaci e via DAmelio, quando il magistrato prestava servizio alla Procura di Caltanissetta. Un percorso inizialmente basato totalmente sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, pentito ritenuto successivamente inaffidabile.
Ma la situazione di tensione non è rientrata dopo la nomina di Giovanni Salvi, soprannominato lo straniero perché l’unico tra i tre concorrenti di origini non siciliane. La delibera del 2 novembre 2011 con cui il plenum del Csm disponeva la nomina è stata impugnata da Tinebra e Gennaro di fronte al Tar. In primo grado i giudici amministrativi avevano accolto il ricorso dei due magistrati, ma il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Csm il mese scorso.
A difendere Tinebra il 17 luglio davanti alla sezione disciplinare sarà Antonio Patrono, pm della procura nazionale antimafia che in passato ha ricoperto l’incarico di presidente dell’Anm e consigliere di Palazzo dei marescialli. Patrono è esponente di punta di Magistratura indipendente, la stessa corrente di riferimento di Giovanni Tinebra.